Dettagli Recensione
Top 50 Opinionisti - Guarda tutte le mie opinioni
Nuno e l’Ammiraglio del Mare Oceano
Nuno è un diciassettenne figlio di una prostituta di Palos che, dopo la sua nascita, s’è riciclata a scrivano per i marinai al porto e per i tanti analfabeti che abitano la cittadina. Dopo la morte prematura della madre, il ragazzo, travolto dalle persecuzioni che Torquemada ha scatenato contro chiunque non professi apertamente la fede cattolica (Nuno sarebbe ebreo, anche se non ha mai praticato), si ritrova al porto schiacciato tra una moltitudine di suoi correligionari in attesa di un imbarco che, forse, si concluderà con un eccidio di massa. Invece, per una serie di fortuite circostanze, viene imbarcato al posto di un mozzo fuggitivo su una nave pronta a partire per una missione misteriosa e forse ugualmente mortale. La nave si chiama Gallega, ma ormai è stata ribattezzata Santa Maria e il suo capitano, uno straniero di nome Cristoforo Colombo la vuol portare, assieme a due caravelle, in una direzione dalla quale mai nessuno è mai ritornato: il Catai del Gran Khan o il Cipango dai tetti dorati, ma non aggirando l’Africa, come fanno i portoghesi, bensì attraversando il Mare Oceano che tutti sanno insuperabile.
Così per l’inesperto, maldestro, timido Nuno inizia il viaggio che lo porterà dopo due incredibili mesi d’ansia e paure, alla scoperta di quelle che, poi, saranno chiamate le Americhe. Qui scoprirà pure l’amore per una bellissima indigena.
Ci sono innumerevoli modi (intelligenti) di narrare, a romanzo, una vicenda storica ormai assurta a mito. Ad esempio ci si può limitare al racconto degli avvenimenti, depurati degli aspetti mitici, facendo una cronaca ben calata nell’ambientazione del suo tempo. Oppure si può conferire una maggiore tridimensionalità ai fatti e ai personaggi coinvolti, sfruttando le licenze concesse dal romanzo storico e arricchendo le vicende e gli attori del dramma di dialoghi e accadimenti inventati, ma coerenti al contesto. Oppure ancora si può porre la vicenda storica a sfondo delle storie personali degli attori (non necessariamente reali) che coprono il ruolo di protagonisti. In ultima analisi, si può pure utilizzare la predetta licenza per inventarsi un'avventura che solo riecheggi i fatti documentati, pur senza contraddirli.
L’A. ha scelto di seguire la via peggiore: appoggiandosi pedissequamente al mito colombiano, ha predisposto un palcoscenico in cui mettere in scena una vicenda che, in pieno revisionismo storico, tenta di fornire una lettura politicamente corretta, secondo l’odierno sentire, di quelle vicende passate, con un affannoso e non richiesto sforzo di autocritica. Il tutto miscelato a una stucchevole storia d’amore tra il giovane Nuno e Lei, la bella india incontrata nell’esplorazione. Tutto ciò appare subito artefatto, macchinoso e per nulla coinvolgente.
La figura di Colombo spesso è descritta in modo macchiettistico e irriverente. La ciurma delle tre caravelle assomiglia più a quella della Hispaniola de “L’isola del tesoro” di Stevenson (per non dire a quella del Capitan Uncino della Disney) che a un credibile equipaggio tardo medievale.
Nuno che, ricordo, è un diciassettenne del XV secolo, quindi, per i canoni dell’epoca, un uomo fatto, appare come un bamboccio imbranato e assolutamente poco verosimile. Per non dire delle sue considerazioni etiche che sono decisamente fuori luogo per una persona coeva anche se, come nel caso di specie, appartenente a una classe emarginata e perseguitata.
Ma la cosa che più deprime la lettura è lo stile usato: l’A. si abbandona sin troppo spesso a un profluvio di iterazioni che si accavallano a reiterazioni rozzamente ridondanti che in costante amplificazione e accumulazione ripetono più o meno gli stessi concetti nel tentativo di infondere emozioni nel lettore che, invece, ne risulta sopraffatto, sfinito e infastidito. Le enumerazioni caotiche, poi, talvolta veramente esondanti (e non di rado in asindeti privi di interpunzione), sfiancano, al punto da far dire: “meno elenchi e più virgole!”.
La storia d’amore di Nuno viene descritta con la stessa stucchevole enfasi retorica di un impacciato innamorato crepuscolare. Le, per fortuna rare, scene di sesso, poi raggiungono una rara goffaggine descrittiva.
In conclusione, il risultato finale è assolutamente deludente. Ero partito, forse, con aspettative troppo elevate, ma l’argomento scelto le meritava. Alla fine l’unica certezza è che un’occasione d’oro puro è stata maldestramente sciupata, svilita in un romanzo da ombrellone.
____________
Mi rendo conto che aprire l’angolo del pignolo per questo libro è come “sparare sulla Croce Rossa”, ma non posso esimermi dal fare alcune domande. È mai possibile che nessuno dei marinai della Niña abbia mai avuto la tentazione di chiamare la nave su cui navigava da anni con il suo vero nome di Santa Clara? Oppure che Nuno, per quanto “testone” possa essere, dopo sette mesi di mare non abbia imparato che su una nave non esistono ringhiere, ma che il parapetto si chiama impavesata o battagliola, a seconda di com’è fatto? O che non esistono “corde”, ma cime, sartie, draglie, sagole e così via? Che le sovrastrutture di un vascello si chiamano cassero e castello di prua? Che l’apertura usata per scendere ai livelli inferiori si chiama boccaporto?
Anche da questi piccolissimi particolari si capisce quale sia la cura con cui è stato concepito e progettato un romanzo.
Indicazioni utili
Commenti
2 risultati - visualizzati 1 - 2 |
Ordina
|
2 risultati - visualizzati 1 - 2 |