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Può esistere una questione privata in una guerra?
Può esistere una questione privata in una guerra? La risposta è negativa. Il dodicesimo e penultimo capitolo del romanzo capolavoro di Beppe Fenoglio e della Resistenza italiana lo conferma. La vicenda di Milton, il protagonista dell’opera, inconsapevolmente si intreccia con quella di due giovani adolescenti che perdono la vita. L’esecuzione di Riccio e Bellini è una conseguenza dell’uccisione da parte di Milton del sergente Alarico Rozzoni, il quale era stato fatto prigioniero dallo studente acculturato Milton al fine di essere una pedina di scambio per il suo amico Giorgio, finito nelle mani dei fascisti. Milton si muove in autonomia; si sposta da un avamposto a un altro e mette a rischio la sua incolumità perché è animato da un profondo senso di amicizia per Giorgio, il compagno di sempre. Non è casuale che Giorgio, etichettato dagli altri partigiani come “figlio di papà” che non perdeva occasione di isolarsi per non dividere nulla del suo con gli altri, pareva sopportare il solo Milton, coabitava solo con Milton. Tuttavia, non c’è la sola amicizia a spingere il protagonista. Vuole infatti sapere da Giorgio se ha avuto una relazione con Fulvia, la ragazza che lui ha amato e ama perché da quando ha scoperto nei primi due capitoli di una possibile tresca tra i due «di colpo, più niente. La guerra, la libertà, i compagni, i nemici. Solo più quella verità». Milton non poteva più vivere senza sapere e soprattutto «non poteva morire senza sapere, in un’epoca in cui i ragazzi come lui erano chiamati più a morire che a vivere». Quando scopre che Giorgio è stato fatto prigioniero il protagonista sente che piove a dirotto sull’amico, forse già divenuto cadavere, piove a dirotto sulla sua verità di Fulvia, cancellandola per sempre. In effetti, Milton non acquisisce nessuna ulteriore conoscenza rispetto a quanto gli ha detto la custode della casa di Fulvia e il libro si conclude circolarmente, a distanza di quattro giorni, laddove è iniziato senza che la ricerca abbia fatto il minimo progresso, forse perché tutto quello che c’era da sapere su Fulvia e su Giorgio era già contenuto nell’incipit del romanzo. Ecco quindi che una questione privata fa capolino nel campo di battaglia delle Langhe, tra Alba, Santo Stefano Belbo e Canelli, nel novembre 1944, ma non può restare privata tanto che l’avventura di Milton va a riguardare da vicino anche chi non ha nulla a che spartire con Milton, se non il fatto di essersi fatto beccare ingenuamente nel ruolo di staffettista a favore delle bande partigiane. «Io ho solo quattordici anni e facevo la staffetta» prova a giustificarsi inutilmente il Riccio prima dell’esecuzione, ma il comandante fascista è categorico: «Nessun mio soldato, caduto come si sia, deve restare invendicato». Di colpo, perciò, con il dodicesimo capitolo l’unicità del protagonista indiscusso della vicenda viene a cadere, diluita in una costellazione di vicende dai tratti spaventosamente simili che rimanda al tempo stesso a tutti gli altri micro-racconti incastonati nel corpo principale del libro (vedi il racconto della battaglia di Verduno, nella quale Milton è stato protagonista insieme al compagno Hombre, oppure della maestra repubblichina, protagonista del racconto in un fienile del partigiano Maté). La storia dell’uccisione di Riccio e Bellini produce a tutti gli effetti una pausa nel racconto e un evidente cambio di ritmo, tanto che il loro destino, a lettura completata, rimanda spontaneamente a quello di Milton. I due adolescenti staffettisti, fucilati per rappresaglia dai fascisti dopo essere stati per tre mesi prigionieri, introducono con forza nel romanzo il tema delle tremende conseguenze degli atti che compiamo credendo di essere nel giusto. Il privato diventa pubblico, l’azione mia viene pagata dall’altro: nemmeno Milton, perciò, può ritenersi innocente perché nel tentativo disperato di salvare l’amico Giorgio e di scoprire la verità su Giorgio e sull’amata Fulvia finisce per provocare involontariamente la morte di due ragazzi.
Il triangolo amoroso è un espediente tipico della letteratura. Non da meno l’amore per una donna che rischia di minare un’amicizia. La ricerca di un prigioniero da scambiare per salvare la vita all’amico prigioniero dei fascisti nasconde in realtà la guerra civile potenziale che incombe su Milton e Giorgio, una guerra civile privata nel contesto della guerra civile collettiva in cui dall’8 settembre 1943 è piombata l’Italia. La questione privata di Milton non allude solo al tema sentimentale ma in qualche modo descrive la struttura di un intreccio costruito intorno a una ricerca ossessiva, tanto che, come già evidenziato in precedenza, il protagonista sembra perdere ogni contatto con il mondo di fuori, nel quale è profondamente calato. L’obiettivo di Fenoglio è infatti quello di ancorare definitivamente il protagonista nel fitto della Storia e di non lasciarlo sullo sfondo. Grazie a un personaggio iconico e indimenticabile come Milton, Fenoglio abbandona la memorialistica di finzione a beneficio del romanzo, ma non lo trasforma in un romanzo storico: rifiuta la polifonia, la lotta alla dispersione, la ricerca di una struttura rigida e ferrea. Mette sopra ogni altra cosa il rapporto tra la ricerca, a tratti meravigliosamente picaresca, di Milton e la guerra civile. L’autore vuole fare di quei venti mesi fuori dal comune per il nostro martoriato paese l’ambientazione delle proprie storie, grandi e piccole, allegre e dolorose. Il triangolo Milton-Giorgio-Fulvia, una cosa appartenente alla vita di prima («e tornare su queste cose fa più male che bene» ricorda Ivan, compagno di Milton nella discesa a casa di Fulvia a inizio vicenda) permette di indagare da dentro la guerra partigiana, in un periodo come quello del novembre 1944 nel quale i reparti sono gonfi a dismisura e si è ormai stabilito uno status quo con zone di influenza riconosciute ufficiosamente dai fascisti, dalle formazioni badogliane (azzurre, aiutate dai proventi degli inglesi) e da quelle garibaldine (rosse).
Il riaffiorare del passato e la potenza dell’amore travolgono Milton, che si consegna alla morte, a quel crollo finale a ridosso del bosco. Proprio lui che veniva definito dai suoi superiori un «classico» perché in grado di mantenersi freddo e lucido quando tutti perdevano la testa. Invece, la freddezza e la lucidità si affievoliscono fino a scomparire nella disperata ricerca dell’amico Giorgio e della verità sul passato. Già colpito a morte Milton vagheggia e dice: «Sono vivo. Fulvia. Sono solo. Fulvia, a momenti mi ammazzi!». È l’istante antecedente all’ultima caduta, a quella definitiva, al crollo. Questo passaggio dalla vita alla morte contraddistingue anche un altro personaggio interessante del romanzo, il già menzionato sergente Alarico Rozzoni. Milton, dopo averlo catturato, lo rassicura a più riprese: non lo vuole uccidere ma lo vuole utilizzare come pedina di scambio con i fascisti per “riprendersi” Giorgio; è quindi intoccabile perché ha un ruolo indispensabile nella sua missione. Tuttavia, si percepisce dal sergente Rozzoni quanto la parola data in guerra valga poco e la diffidenza nei confronti dell’altro sia sempre ai massimi livelli. Il sergente fascista non si fida, non può fidarsi per quanto ha respirato e vissuto durante il ventennio e ancor di più dall’8 settembre in avanti e dunque la sua mossa sbagliata e la sua morte sono una naturale conseguenza. E con la dipartita del sergente, anche le sottili possibilità di successo della missione di Milton svaniscono o per meglio dire crollano, proprio come crollerà lui stesso a distanza di poche ore al margine del bosco.
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Ti ringrazio anche per il suggerimento. Ho sempre rimandato l'approfondimento di Beppe Fenoglio e ora mi sento in animo che è giunto il momento per affrontarlo.
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A questo punto ti segnalo una interessante e documentatissima biografia scritta da Negri Scaglione, anche lui di Alba : "Questioni private ... " .