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All'ombra delle impalcature
La rappresentazione della lotta di classe è al centro di questo romanzo facente parte della trilogia “Una storia italiana” tesa a rappresentare nei suoi tre volumi il mondo proletario, ”Metello” (1955), quello borghese, “Lo scialo” (1960), e quello intellettuale, “Allegoria e derisione” (1966).
Un romanzo realista e insieme di formazione che permette di seguire l’evoluzione del piccolo Metello da orfano di entrambi i genitori a padre di famiglia, all’ombra della cupola di Santa Maria del Fiore. Le vicende personali, intrecciate a quelle delle prime rivendicazioni sindacali del proletariato edile, sarà egli infatti uno dei maggiori fomentatori degli scioperi ad oltranza che metteranno in ginocchio la classe imprenditoriale, giungono a diversi momenti apicali permettendo di tenere desta l’attenzione del lettore attraverso l’uso sapiente della suspense. Tanto è irrequieto Metello, dai tratti un po’ renziani, del Renzo manzoniano, nel trovarsi al centro della storia, così viceversa è pacata ed equilibrata Ersilia, la moglie, che nelle vicissitudini che accompagnano il loro nucleo familiare, in perenne sofferenza economica, è capace di bilanciare le tensioni e di scioglierle. Le pagine che rappresentano l’amore coniugale, anche attraversato da minacce insopportabili, sono vivide e delicate insieme, pungenti e al tempo stesso confortanti. Si respira profumo di amore, intimo e rubato, in un quartiere vivo nella Firenze a cavallo tra i due secoli, la cui toponomastica accompagna il lettore tra l’ Arno e le Murate, il carcere, seconda casa del nostro protagonista che a più riprese vi torna. Un romanzo lineare con decisi e godibilissimi passaggi lirici, non ha alcuna pretesa ideologica ma riesce nel suo realismo sociale a far sussultare il lettore e a farlo trepidare nella speranza che qualche diritto venga riconosciuto.
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Mi spiace. non metto mai il pollice verso... piuttosto non voto.
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Nonostante questo, il libro non mi attrae. In questo mio periodo di lettore il 'realismo' non mi affascina, mi pare quasi frutto di una presunzione dell'autore che lo usa : la realtà è più profonda. Si deve, poi, sempre fare i conti col gusto personale, che varia nel tempo.