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Terrificante prodigio
…” Eppure.
Eppure quando sembra tutto sparito un uomo si ferma e ricorda. E in quella memoria germoglia il futuro come fiore del deserto”…
Questo lungo racconto di Valeria Parrella, perché tale può definirsi, ripercorre nel presente attraverso la voce del giovane Lucio i momenti tragici dell’ eruzione del Vesuvio ( 79 d.c ) che ha sepolto e ricoperto di morte la città di Pompei.
C’ è un prima e un dopo il prodigio, un luogo natio vivo e pulsante, variegato e variopinto, voci ed echi di uomini e Dei, schiavi, mercanti, senatori, artisti, prostituite, insegnanti, un luogo della memoria che Lucio ha vissuto e amato sin da bambino, tra sogni e desideri, realtà e immaginazione, luci e ombre, paura e coraggio.
Lui è nato il giorno del terremoto, ricco di famiglia, cieco da un occhio e per questo condannato a essere quello che non vuole, il suo destino nelle mani della Parca.
La vita lo porterà a inseguire fortuna e desiderio, a prendere in mano i propri giorni, a riconoscere e a coltivare lo stupore, gettando la maschera della paura per attraversarla, un percorso molto umano e poco divino.
Lucio non ama retorica e leggi, che è costretto ad apprendere alla scuola di Quintiliano per volere paterno, è uno spirito libero che sogna di andare per mare, di servire il mare, non con l’ idea del comando, ma per semplice esigenza e aspirazione.
Non vuole essere alla guida di una nave, vorrebbe viverla, occuparsene, curarla, quando è a bordo non pensa ne’ al passato ne’ al futuro, immerso nel presente, in un mondo da vivere intensamente, nessuno spazio colmabile dalle parole.
Grazie allo studio conoscerà’ l’ animo umano, ne comprenderà la psicologia, un’ umanità così strana che crede e si affida al passato più che al presente, qualcuno pensando di essere vivo, qualcun’altro di morire al più presto.
Ci sarà un momento in cui capitanerà una nave, la Fortuna, mentre il prodigio si mostra all’ orizzonte, un soffio mortale precipitato dal monte. In quegli attimi deve decidere, vivere o morire, momenti in cui comprende il significato degli studi intrapresi, l’ essere al servizio degli altri, l’ orientarsi quando non si vedono le stelle, facendosi tramite dell’ indecifrabile agli occhi dei marinai.
È allora che si inoltra in una nebbia coperta di cenere, orientandosi senza vedere, camminando su luoghi sepolti, scomparsi, sommersi, inginocchiandosi a pregare nella cenere, attorniato da una distesa di superstiti inebetiti e moribondi.
È allora che inizia un confronto diretto con la vita e la morte, …” nella catastrofe non è possibile nessuna postura, nessuna grandezza. È eroe chi sopravvive a quel momento, chi lo conserva e continua a vivere “….
Alla fine, ahimè, è sufficiente farsi custodi del mondo vissuto, ricercando nella quotidianità qualcosa cui aggrapparsi, un gesto ripetuto che ci colleghi alla vita di prima, quando c’ era una vita, sperando nella restituzione di un corpo da piangere.
“ La fortuna “ è un testo molto curato nel quale si assapora il gusto della parola, così caro all’ autrice, che riporta nel presente un evento storico tanto funesto attraverso la vita e i pensieri di Lucio.
In passato avevo apprezzato l’ autrice ( penso ad “ Almarina “ ), qui il risultato è un costrutto dotto ma piuttosto asettico, solo a tratti poetico senza la forza espressiva che la contraddistingue.
Pochi dialoghi, una rappresentazione fredda, formale, lenta, piuttosto uniforme di una vita, l’ enorme lascito della classicità piuttosto compresso, personaggi freddi, per un esito non entusiasmante, solo l’ ultima parte ci restituisce la forza pulsante di una tragedia consumata, in bilico tra il terrore cieco di una morte imminente e l’ irrefrenabile desiderio di vita.
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Commenti
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Un caro saluto Gianni
Aspetto con curiosità di leggere la tua prossima recensione con la curiosità di scoprire quella che sarà la lettura non italiana contemporanea che hai scelto.
A presto, un caro saluto, Maria.
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Maria