Dettagli Recensione
Lucio
«Ognuna di queste paure dice sempre la stessa cosa: ci ricorda che non siamo dei e che possiamo morire. Per la più piccola o la più grande impresa: noi possiamo morire, perché affrontandola scopriamo che non ne eravamo all’altezza, che quello non era il nostro posto nel mondo né il nostro destino né avevamo sufficiente abilità per sederci al tavolo di quel gioco. Se falliamo, moriamo. Io dunque credo che ogni paura sia un piccolo gioco con la morte: un avvistamento a cui possiamo decidere o meno di dare seguito: il cane che punta verso il cespuglio quando non sai ancora se lo asseconderai. […] Invece. Invece dal momento in cui il nocchiere ha detto: “Torniamo indietro”, io ho capito che l’unico modo per superare la paura è attraversarla.»
Il suo nome è Lucio ed è tramite la sua voce che conosciamo di questa storia narrata da Valeria Parrella con cui viene descritta la devastante eruzione del Vesuvio occorsa nel 79. d.C. La vicenda ha inizio in un lasso temporale antecedente e concomitante, una fase in cui conosciamo il protagonista ancora bambino e assistiamo al suo crescere, ai suoi sogni, a quel destino che sembra preordinato per lui. A quella vista, a quel difetto che lo porta ad essere vittima di un pregiudizio e di un destino stabilito da altri per lui. Pur tuttavia egli riesce a imbarcarsi su una quadriremi, “La fortuna”, flotta imperiale capitanata da Plinio il vecchio e stanziata a Miseno.
«Ognuno di noi dentro di sé sa cosa vuole, sempre, anche quando si professa disorientato. Ma quando si è molto giovani le possibilità della vita si partono da noi come raggi di una stella: sono tutti ugualmente splendenti, e per me quel bacio significava che uno di quei raggi sarebbe stato mio.»
Da queste brevi premesse ha inizio uno scritto che si prefigge di ricordare di una catastrofe ma anche di soffermarsi, con una vena lirista, su temi naturalistici.
Vi è infatti un prima e un consequenziale dopo l’eruzione. Tassello fondamentale per delineare le evoluzioni della storia. Tuttavia lo scritto non convince pienamente. Non si tratta d’altro che di un lungo racconto molto arioso, con ampia interlinea, margine e carattere, un racconto di appena 137 pagine che sono in realtà molto meno. Lo stile non ha mordente, tende ad annoiare, la vicenda è piacevole ma non riesce a trattenere. La scrittura è piatta, volutamente artefatta, lenta. Sfianca. Autocelebrativa. Peccato perché sarebbe stato un buon contributo per ricordare di un evento che ha segnato il mondo antico.
«L’idea che ci facciamo del mondo finché non ci diranno, no ce n’è un’altra porzione, no ci sono altre leggi, no non ci vedi bene – oppure non te lo diranno mai e allora ti crederai quel mondo finché non arriverà il sicario a rimetterti al tuo posto.»