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Un coroner ante-litteram
Mondino dei Liuzzi è un medico anatomista stimato e affermato, esercita la sua attività, anche di docente seguito e riverito, presso la prestigiosa “Università degli Studenti” di Bologna agli inizi del XIV secolo, l’età d’oro dell’Ateneo. Ma Mondino è anche quello che oggi si potrebbe definire un anatomopatologo-investigatore. Già in passato è stato coinvolto in indagini cittadine per omicidi quantomeno singolari, se non proprio misteriosi, e il suo acume, la sua tenacia, la sua abilità nelle autopsie dei cadaveri delle vittime avevano portato le investigazioni all’individuazione dei colpevoli.
Adesso, però, rischia di essere lui il sospettato principale. Un alchimista di nome Simone dei Rossi è morto a pochi passi dallo studium ove lui tiene lezione. Con le ultime parole pronunciate ha fatto il suo nome. Per accusarlo? Per chiederne l’aiuto? L’uomo è stato accoltellato con un coltello di piombo, ma è morto per avvelenamento da metalli pesanti (forse proprio piombo). Il Capitano del popolo, Pellaio de’ Pellai - che odia Mondino per le pratiche settorie che svolge sui cadaveri dei condannati a morte, considerandole immorali - vorrebbe incriminarlo per questo omicidio, ma gli mancano le prove. Quando, poi, il giorno dopo, vengono ritrovati ben sette cadaveri uccisi nello stesso modo e sistemati, a stella, entro il battistero di S. Pietro, Mondino è scagionato automaticamente. Anzi, il Consiglio lo incarica di contribuire alle indagini, con gran disdoro per Pellaio. Tuttavia il mistero resta fitto e lo stesso medico rischia la vita nel proseguire delle sue ricerche, nonostante si prodighino in aiuto (ma nascostamente da lui) pure la giovane moglie Mina e il figlio maggiore di primo letto, Gabardino, lo speziale. Quelle uccisioni sembrano associate a misteriosi riti esoterici, connessi all’arrivo nei cieli di una cometa che tutti dicono nefasta. Solo la fortuna, l’intuito e l’audacia del medico e dei suoi familiari alla fine risolveranno il caso.
Mondino de’ Liuzzi è una figura storica realmente esistita. Padre della moderna anatomia patologica, con i suoi studi portati avanti mediante la dissezione anatomica di cadaveri umani (pratica, all’epoca, considerata al limite della blasfemia), fece fare enormi progressi allo studio della medicina anatomica e i suoi trattati furono testi basilari di studio per i successivi due secoli.
Alfredo Colitto ne sfrutta la figura misteriosa e iconica, per ampi tratti oscura, al punto che la sua stessa città di nascita gli ha dedicato solo una breve viuzza, per concepire una serie di indagini poliziesche (questo è il quarto romanzo della serie) in un’epoca in cui l’investigazione scientifica era ancora tutta da inventare.
Al lettore, quindi, viene proposta un’opera di duplice valenza. Da un lato c’è il romanzo storico che cerca di ricostruire, non solo gli avvenimenti dell’epoca (magari non rilevanti ai fini della grande storia, ma sicuramente intriganti), ma pure la topografia, le usanze, la cultura di oltre settecento anni fa. Dall’altro troviamo l’enigma poliziesco che utilizza come protagonista l’antico magister, e che cerca di imbastire una investigazione di tipo deduttivo-scientifico, in un periodo in cui, spesso, il modo più spiccio per risolvere le indagini era un passaggio in sala torture.
Sotto il primo aspetto, quello storico, va dato merito all’autore di aver svolto approfondite ricerche e documentazioni per ambientare la storia nella Bologna medievale. Leggendo il libro non si fa alcuno sforzo ad ambientarsi in quei luoghi, affatto diversi dagli attuali, e sentirsi parte del tessuto urbano e sociale della città, cosmopolita sì, grazie all’Università, ma ancora primitiva in molte delle sue espressioni e del suo sentire. Magari si può osservare che certi comportamenti e, soprattutto, certe espressioni, certe forme di linguaggio siano più consone all’epoca odierna che al XIV secolo. Ma in genere la ricostruzione appare accurata e ben integrata nel contesto narrativo così da far facilmente perdonare alcuni falsi storici che, in parte, è lo stesso A. a confessare nelle note conclusive, e giustificare con esigenze narrative.
Sul secondo profilo, quello meramente giallistico, la storia funziona meno e non perché sia mal strutturata o perché manchino gli inevitabili colpi di scena. Piuttosto l’intrigo, anzi gli intrighi, visto che alla fine i filoni d’indagine si sdoppieranno, non appaiono particolarmente attraenti. Non so dire se ciò sia colpa dello stile narrativo, che ho trovato abbastanza convenzionale e freddo, o per i contenuti stessi della storia, esoterici, un po’ astrusi per il moderno sentire, o per la mancanza di un vero pathos. Qualunque sia la ragione ho faticato a sentirmi coinvolto nell’intreccio. Cioè non è scoccata la classica scintilla che lega il libro al lettore il quale fa fatica a staccarsene. La trama non è brutta in sé, ma neppure particolarmente accattivante: in fondo, se si esclude il colpevole principale, lo schema generale dei delitti e il movente ci vengono rivelati subito. Ho trovato abbastanza fastidioso il maniacale desiderio di dare una minuziosa descrizione di personaggi, abbigliamenti e luoghi, a ogni cambio di scena. Purtroppo questa è una abitudine piuttosto diffusa negli scrittori italiani di questi anni che non si rendono conto che questa pignoleria non accresce spessore alla storia, ma contribuisce solo a spezzare il filo narrativo e l’attenzione di chi legge.
In sintesi l'avventura di Mondino incuriosisce, a tratti diverte, ma non appassiona, non sino in fondo, almeno.
In conclusione si tratta di un romanzo interessante e inusuale per l’ambientazione storica: infatti abbiamo avuto come investigatori Aristotele, Leonardo, monaci cistercensi, questori romani, ma ci mancava l’anatomista medievale. Tuttavia, e mi rammarica scriverlo, non mi sembra un’opera pienamente riuscita. E' un romanzo che vale la pena leggere, sì, ma più per il contesto e per conoscere questa singolare figura di medico sperimentatore, che per la storia principale di carattere poliziesco, la quale, invece, ne dovrebbe essere la ragione prima.
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Un paio di osservazioni per l’angolo del pignolo. Tra i falsi storici in cui ci si imbatte ne ho scovato uno divertente, evidentemente sfuggito anche agli editor: le carote nel 1300 erano ancora un ortaggio relativamente nuovo e raro, per tavole signorili, ed erano di colore viola o, al più, giallastro. Quindi è improbabile che in un mercato di piazza potessero spiccare per il loro … arancione.
Il secondo appunto è indirizzato alla Mondadori che nella sinossi, riportata nel risvolto di copertina, indica il Capitano del popolo col nome di Rambertuccio e non Pellaio. Come spiega l’A. in nota, Rambertuccio degli Orgogliosi (personaggio già presente nel racconto “Cometa di sangue” da cui il romanzo prende origine) fu capitano del popolo l’anno precedente ai fatti narrati: una più attenta lettura del testo dell'opera avrebbe evitato questa contraddizione interna.