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Dora & Irene
«Dora continua a succhiare. Finalmente la piccolina riceve una carezza sulla testa, la prima della sua vita: non lo sa ancora, ma sarà la cosa di cui più sentirà la mancanza.»
Siamo a Mantova, è il 1918. La Grande Guerra è giunta al suo armistizio quando, a distanza di pochissime ore, nascono Dora, già orfana perché la madre muore di parto, e Irene, ultima di quattro figli ma prima figlia femmina, ultimogenita dei marchesi Cavriani. Due sorti molto diverse quelle che legano queste due giovani bambine, poi donne, che crescono appunto in un contesto sociale diametralmente opposto.
Dora perdendo la madre viene affidata dalla nonna Regina a un’amica di quest’ultima, Luisa, che però dopo pochi anni, circa tre, è costretta per volontà del marito, che vuole trasferirsi ma senza portarsi dietro una figlia non sua, a separarsi dalla piccola che ben presto dimentica delle premure della madre adottiva. Regina infatti non ha alcuna cura della nipote, l’unico suo interesse è che sia il più magra possibile in modo da suscitare ancora più pietà nel prossimo nonostante la sua innata e innegabile bellezza. Regina è convinta che la figlia, quando ancora in vita, si sia donata al primo venuto e da qui sia rimasta incinta, in verità la donna ha concepito la figlia con il marito disertore in quei pochi attimi di libertà che li hanno rivisti insieme prima della fine del conflitto e del tragico epilogo. L’anziana è una donna avida, anaffettiva, ambiziosa. L’unico suo obiettivo è avere la pancia piena e per lei l’unico figlio degno di essere chiamato tale è colui morto in guerra, la figlia femmina altro non era ai suoi occhi che un peso e una puttana. Ecco perché a maggior ragione Dora deve rendersi utile, essere produttiva di denaro e anche, per questo, fare l’elemosina. Con i suoi grandi occhioni non mancherà di impietosire il prossimo…
Dal suo canto Irene cresce negli agi e più volte incontra la coetanea alla quale fa appunto la carità. Tuttavia le sorti delle donne sono destinate a incontrarsi anche in futuro e questo perché all’età di 7 anni Dora entrerà a servizio presso i Benedini che la prenderanno a cuore soprattutto quando la bambina sarà vittima dell’ennesima violenza della nonna. Dora riuscirà anche a imparare a leggere e scrivere, a farsi una educazione e a sua volta inizierà a puntare in alto perché di quei salotti ella vuol far parte.
«Agata è nata nella modesta casa di un piccolo ambulante, non certo tra gli agi cui è abituata ora. Ma le pecche, quando sono proprie, vengono dimenticate in fretta.»
La vita delle due donne non è semplice seppur in modo differente. Dora fatica a farsi apprezzare da tutti, Agata ad esempio, moglie del capostipite dei Benedini non la vede di buon occhio anche se questa è la prima ad appartenere a origini più umili. Ad ogni modo nel crescere la protagonista fiorirà in tutta la sua già conclamata bellezza e si fidanzerà in segreto con Eugenio, figlio dei ricchissimi Arrivabene e cognato di Irene. Da qui le loro vite si incroceranno ancora una volta. In una dimensione non sempre capace di accogliere chi vi si affaccia a maggior ragione se quel qualcuno non appartiene sin dalle origini a una determinata casta e a un determinato ceto sociale ed economico.
A far da sfondo il Fascismo, Mantova, la Storia che non perdona e nulla risparmia e il volto di un mondo che non accetta riscatti sociali ma nemmeno la possibilità di nascere sotto “un cielo sbagliato”.
Al tutto si somma ancora una penna rapida, fluida nel suo scorrere, chiara ma anche empatica. Silvia Truzzi riesce infatti a toccare le corde più intime del lettore per mezzo di una storia che emoziona e coinvolge e che rappresenta anche una grande maturità della narratrice in particolare rispetto al precedente lavoro “Fai piano quando torni”. Il lettore non fatica a entrare in empatia con i personaggi e le vicende e al tempo stesso è coinvolto anche dall’aspetto storico accuratamente descritto e delineato. Si evince un gran lavoro di ricostruzione storica da parte della romanziera che a maggior ragione rende concreto lo scritto e grazie a questo ancora più appassionante.
Il ritmo è rapido, la lettura sinceramente godibile. Forse qualche piccolo rallentamento nello scorrere nella parte centrale ma per necessità dell’evolversi della narrazione. Il lettore che già conosce l’autrice resterà sorpreso di questa avventura e della sua capacità di coinvolgere e scuotere soprattutto in alcuni punti in cui viene spontanea la commozione, il lettore che al contrario ancora non ha mai letto della sua penna resterà sinceramente colpito e incuriosito.
«Infila il naso nel collo del padrone, chiude gli occhi e assapora un lungo momento di dolcezza clandestina. Oggi la sua vita può cominciare»