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Pathos femminile
Seguire la lettura non è semplice: si intrecciano contemporaneamente la storia dell'autrice (afflitta presso il giardino di Boboli, per non aver più tra le mani il suo primo manoscritto, andato perso nel '44 con la guerra) e la vicenda di Artemisia Gentileschi di tre secoli prima, di cui l' autrice ne racconta la vita, con una prospettiva del tutto particolare.
È una sorta di confessione-diario, in cui Anna Banti si rivolge alla giovane donna dandole del tu, come fosse un' amica, generando un flusso di coscienza inarrestabile, uno strumento funzionale, per far rivivere per sé e per il lettore (questa è la percezione) la donna - artista del seicento.
Il motore dell'opera è proprio il libro andato perso, una perdita che scatena l' ossessione per i ricordi, una comunicazione fitta, a senso unico, che non dà respiro e non dà spazio a riflessioni.
L' autrice imbastisce una biografia ricca di pathos, ricuce con pazienza pezzi di vita intensa di Artemisia, brandelli di esistenza che occorre conoscere prima di affrontare la lettura: il mio consiglio è di documentarsi prima, per poi apprezzare appieno non solo la biografia, ma anche la prosa ricercata e raffinata, una scrittura che ha il sapore di altri tempi.