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Sanguina ancora
 
Sanguina ancora 2021-08-17 21:10:27 archeomari
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archeomari Opinione inserita da archeomari    17 Agosto, 2021
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Sanguinare per sentirsi vivi

Non lo so”
Così Paolo Nori, col tono scanzonato e sincero che lo contraddistingue, risponde alla domanda “che senso ha oggi, nel 2021, parlare di Dostoevskij?” con cui apre il libro. Per fortuna, come succede qualche volta che ad una domanda risponde in questo modo, aggiunge subito dopo “vado avanti”.

E infatti Paolo Nori va avanti. E in che modo!
Il libro non è una biografia asettica di Dostoevskij, ma un romanzo, ben scritto e coinvolgente che a volte si interrompe per lasciare spazio agli “intermezzi” dello scrittore parmense. Intermezzi che sono ricordi, episodi della propria vita, come quello in cui racconta quando il suo cuore cominciò a sanguinare:

“Delitto e castigo l’ho letto che avevo forse quindici anni […] e ho avuto, me lo ricordo perfettamente, la sensazione che quella cosa che avevo in mano, quel libro pubblicato centododici anni prima a tremila chilometri di distanza, mi avesse aperto una ferita che non avrebbe smesso tanto presto di sanguinare. Avevo ragione. Sanguina ancora.” (p. 9-10)

Certo non è stato semplice per l’autore ripercorrere a 57 anni le sensazioni e le emozioni provate quando ne aveva 15 (intervista di Roberto Festa a Paolo Nori, “Venerdì” di “Repubblica”, 9 aprile 2021 al link https://www.repubblica.it/venerdi/2021/04/09/news/paolo_nori_dostoevskij_sanguina_ancora_intervista-295255672/ ), tuttavia ha avuto la prova che Dostoevskij gli lacera il petto anche a distanza di anni, con alle spalle nuove esperienze, non sempre positive, tutt’altro, e con un background completamente diverso.
Eppure all’inizio, se non ci fosse stata la spinta dell’amico Antonio Pennacchi, la “ritrosogna” (p.12) gli avrebbe impedito di lanciarsi in questa quasi-sfida con se stesso e i suoi ricordi. “…un misto di ritrosia e di vergogna, ritrosogna, si potrebbe chiamare, che brutto nome (…)”.

Lo stile, il modo di trattare la biografia di Dostoevskij è tipicamente “noriano”, contraddistinto dal tono svagato, a volte anche canzonatorio con cui affronta i discorsi ed è l’ingrediente segreto che rende meraviglioso, senza nulla togliere al grande russo, la lettura del libro. L’ho notato anche nell’altro lavoro che ho letto, “I Russi sono matti”: quando si toccano certi punti per così dire nevralgici, quando si rivelano verità profonde, non serve a nulla usare concettualismi, termini altisonanti. Serve invece la semplicità e il parlare diretto, a tu per tu col lettore. E anche con se stesso. Sì anche con se stesso, questo libro scritto nel pieno della pandemia, come l’autore stesso ricorda (p.49) assume, in certi passaggi, i toni di un diario intimo.

Nel libro non si parla solo di Dostoevskij, ma anche di altri grandi autori russi, conosciuti in vita o meno (Tolstoj non conobbe mai di persona il grande autore) le cui vite si intrecciano con la sua, ci sono stralci di lettere, aneddoti, richiami ad altri autori e alle opere che hanno fatto grande la letteratura russa.

“Cioè io credo che la letteratura russa sia la letteratura più bella del mondo, ma non è che voglio convincere tutti, e il mio sentimento nei confronti di chi, per esempio, non ha mai letto Puskin, Gogol’, Lermontov, Leskov, Dostoevskij, Tolstoj, Cechov, Bulgakov, Chlebnikov, Charms, Il’f e Petrov, i fratelli Strugackij o Venedikt Erofeev è di invidia, perché che meraviglia, che hai davanti, se si dovesse mai decidere a mettersi per strada. Ecco. Volevo dirlo.” (p. 58)


Finalista al Premio Campiello 2021, l’opera di Nori è un omaggio al grande autore russo e, in realtà, come l’autore scrive nel testo, dobbiamo ad Antonio Pennacchi, amico dello scrittore, scomparso qualche settimana fa, la realizzazione di quest’opera. Cosa c’è di più bello che scrivere un libro per ricordare non soltanto il primo amore letterario, ma anche ringraziare un grande amico?

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Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
A chi ama la letteratura russa e anche a chi è curioso di conoscerla
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