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Decadenza fisiologica
Questo è il sequel de “I leoni di Sicilia” della stessa autrice, l’epopea romanzata di una vicenda reale, documentata storicamente, con una ricerca minuziosa e accurata: solo per questo si deve porgere tanto di doveroso omaggio all’autrice, che ha confezionato in ogni caso un lavoro ben edificato e congegnato, impegnativo e realizzato con dedizione.
Però stavolta l’impressione d’acchito, comune a molti romanzi “parte seconda”, è che il racconto si configuri qualitativamente su un livello più basso, certo non perché difetti di impegno e di qualità, tuttavia l’idea generale emergente è che, una volta sfumato l’effetto sorpresa, la storia perda di verve, di novità, di estro, lascia il sapore ridondante di un “già visto”, di carta conosciuta ripetuta.
In effetti, è quasi un effetto collaterale, nella logica di questo tipo di novelle: la storia principale concerne l’ascesa economica, sociale e di potere della stirpe della Famiglia Florio.
Una scalata al vertice possiede di per sé un pathos affascinante, attraente ed avvincente, del tutto differente dal racconto del successivo consolidarsi dell’egemonia raggiunta; la suspense tende gradualmente a diminuire allorché, per una naturale erosione degli ambiti raggiunti, l’interesse scema, insieme ad una perdita di tensione narrativa.
Come dire, gli anni passano, una decadenza fisiologica è nell’ordine delle cose, e non attrae.
I fratelli primogeniti Paolo ed Ignazio, che abbiamo conosciuto nella “puntata precedente”, armati solo di cieca determinazione e sfrenata ambizione, insieme a tenacia, cocciutaggine, braccia volenterose ed una buona dose di disperazione, come dire il peperoncino sulla pietanza, all’inizio dell’800 sbarcarono in Sicilia provenienti dalla vicina Calabria, e con fatica, sacrifici, dolori sofferenze e violenze indicibili, come d’uso in simili tragitti esistenziali partendo dal niente assoluto, diedero inizio alla costruzione di una immensa fortuna, dapprima con il commercio di spezie, poi di zolfo, poi con vere e proprie immobiliari, erano gli spregiudicati palazzinari dell’epoca, e stiamo parlando dell’800. Ancora, dilatarono le loro fortune con il commercio espanso di un locale vino prelibato, ma ancora misconosciuto, come il Marsala, e poi con le tonnare, da cui proventi ricavarono tanto da acquisire non solo intere flotte adibite alla pesca, quanto addirittura isole e arcipelaghi.
In sintesi, divennero i padroni assoluti della Sicilia, di quella terra per tanti versi una savana, ne diventano i dominus, i cesari, i sovrani, i re leoni.
Spinti a ciò dalla motivazione migliore o peggiore, secondo i punti di vista, cioè da un’ambizione sfrenata, senza scrupoli, dal desiderio ossessivo di emergere a qualsiasi costo.
Caratteri che possono considerarsi sia pregi che difetti.
In questo racconto, generazione passata e futura dei Florio hanno lo stesso nome, Ignazio, quasi a rappresentare due facce della stessa medaglia.
Come tutte le cose della vita, i Florio iniziano in un modo e nel tempo cambiano necessariamente per mutazione spontanea, per ricombinazione di geni.
Dapprima persistono, e pure a lungo, i valori fondanti dei capostipiti; e però, inevitabilmente, per il naturale evolversi dell’esistenza, al vecchio si sostituisce fatalmente il nuovo, al vecchio Ignazio subentra, deve subentrare per forza di cose il nuovo Ignazio.
Ai capostipiti succedono le generazioni future, qui ritroviamo quindi l’ultimo Ignazio, per indole e giovane età macerato dai dubbi sull’effettiva capacità sua e delle generazioni successive di garantire il mantenimento del vertice, con conseguente abile gestione del potere.
Soprattutto, è tipico dei giovani, non tormentati dal bisogno, incantarsi con gli ideali, il lusso gli permette di chiedersi di quanto e di cosa si è disposti a rinunciare in sentimenti, in cambio del potere concreto. Il cuore caldo è dei giovani, la mente fredda è degli anziani mai stati giovani.
Perché è una legge di natura, a cui anche i leoni devono assoggettarsi, l’agire energico prevede la motivazione potente, la rinuncia agli affetti e agli amori non produttivi, anzi distoglienti dagli obiettivi prefissi, l’ ascensione ai vertici prevede unici sentimenti, quelli di puro sacrificio e abnegazione anche di sé stessi, quelli appunti che furono propulsivi nei capostipiti nella loro scalata al successo, ma non sono però necessariamente trasmissibili alla progenie, ereditabili con il resto dei beni.
Beni di quella misura, una simile ricchezza che si accompagna ad un potere anche politico che si spinge non solo fino alla capitale, ma ben oltre i confini non solo della Sicilia ma del Paese intero, necessitano per essere conservati intatti di pugno fermo. E di cuore freddo, malgrado il sangue caldo.
Valori che sono essenziali per le conquiste, poi scemano una volta pervenuti al vertice, i giovani leoni si trovano assisi in alto senza sforzo, perciò danno per scontato di possedere quanto non conquistato in proprio.
Una volta terminati i furori iniziali, quelli incisivi nello sprone all’accumulo e alla corsa sfrenata al successo, inevitabilmente gli stessi successi e gli agi perseguiti e finalmente conseguiti, iniziano a seminare crepe sul cammino della famiglia Florio.
Il racconto, inevitabilmente, scivola in discesa, non è tanto una caduta fatale o inesorabile, è davvero un evolversi, non è più la storia avvincente, a tratti lieta e più spesso crudele, di un’ascesa, come nel precedente romanzo, ma del suo fisiologico divenire, e deteriorarsi.
Per una legge elementare di natura, una volta raggiunta una vetta, poi non si può fare altro che restarvi il più possibile ancorati con le unghie e con i denti fin quando dura la bella stagione, anche il cielo ha un limite. Prima o poi, però, il tempo cambia, la discesa deve avvenire per forza.
L’inverno arriva, con lui la neve, bisogna sloggiare a forza dai vecchi domini.
Questo non è più un racconto di ascesa, allora, ma di discesa, dopo che la primavera arride, l’inverno arriva, ed i leoni non tollerano il gelo, nemmeno se si chiamano Florio.
I leoni si vedono persi, ma anche stavolta in loro soccorso arrivano le leonesse, esattamente come avviene in Natura.
Il Re Leone nella savana spesso fa scena, vive sui ruggiti, sul millantato credito, in realtà è pigro, lascia condurre l’esistenza alle leonesse, le travi portanti del gruppo familiare, anche se neanche lui lo sa, o ne è in qualche modo consapevole, o finge di non sapere.
Anche i Florio contano sulle leonesse, per fortuna loro, la scrittrice ancora una volta, come già nel primo volume, omaggia tra le righe le vere protagoniste della saga familiare, di qualunque epopea di famiglie, che qui rispondono ai nomi delle figure sublimi della famiglia Florio: Giovanna d’Ondes e Franca Jacona di San Giuliano.
Anche stavolta la Auci si cimenta certamente in un buon lavoro di documentazione storica, preciso, accurato, ricercato, particolareggiato, reso in forma letteraria: e però non dimentica di sottolineare, quasi senza parere, che sì, gli uomini scrivono la storia, ma a renderla un’epopea sono le donne.
Un buon libro, che soddisferà in particolare quanti desiderano sapere “come va a finire”, quelli che intuiscono d’istinto che, come dire, Stefana Auci non scrive solo di storia, fa romanzo dei Florio, e per inciso, delle loro donne.
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Ho evitato "I leoni..." ; evito anche questo, a maggior ragione.