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Amore e morte sulla Sila
“Sono Maria Oliverio, fu Biaggio, di anni ventidue. Nata e domiciliata a Casole, Cosenza, senza prole di Pietro Monaco. Tessitrice, cattolica, illetterata.” Così, con queste precise parole, la famigerata brigantessa Ciccilla si presentò davanti al giudice che avrebbe deciso la sua condanna. Condanna per cosa? Qual era la sua colpa? Difficile dare una risposta se non si conosce la sua storia e non la si guarda dalla giusta angolazione. Una storia di fame, di soprusi, di violenza. Una storia di ribellione, di riscatto, di grandi speranze e di cocenti delusioni, di tradimenti e di grande dignità. Maria nasce in una famiglia come tante. Genitori consumati da lavori usuranti, prole numerosa da sfamare e destinata dalle circostanze a seguire le orme dei genitori, in un circolo vizioso di povertà, sfruttamento, disperazione da cui sembra impossibile riscattarsi. Eppure siamo in un momento storico di grande fermento. In un'Italia ancora divisa soffiano venti di unità nazionale che preannunciano importanti cambiamenti. Il regno Borbonico con le sue arcaiche gerarchie sociali, la sua oppressiva presenza, la sua insormontabile arretratezza, sembra avere ormai i giorni contati. Redistribuzione delle terre, abolizione di tasse, abbassamento dei prezzi, riconoscimento dell'uso civico dei beni demaniali sono le promesse che arrivano dal nord, impersonificate dalla figura carismatica del generale Giuseppe Garibaldi. Venti che smuovono acque chete che stagnavano da troppo tempo. Come spesso accade però, purtroppo anche quando le intenzioni sono le migliori, i risultati delle rivoluzioni non rispettano i presupposti iniziali e la caduta dei Borboni e l'unità d'Italia deluderanno le speranze di riscatto degli ultimi. In questo clima cresce, vive, cade, si rialza, si trasforma la nostra eroina. La piccola Maria impara troppo presto quanta amarezza può riservare l'esistenza umana. Osteggiata dalla sorella maggiore, costretta a rinunciare agli studi e a rimboccarsi le maniche, sottomessa e sfruttata, vede nell'amore di Pietro l'unico modo per dare una svolta alla sua vita. Il ragazzo è bello, brillante, affascinante, è arso da un fuoco rivoluzionario che lo spinge a grandi imprese. Il matrimonio è inevitabile ma Pietro cambia, la sua fiamma interiore si spegne man mano che la rivoluzione dimostra di andare in tutt'altra direzione rispetto ai suoi presupposti, lasciando il posto alle braci della delusione, del risentimento, del senso di fallimento. Arrivano violenza domestica, tradimenti, insulti, finché l'uomo non è costretto a darsi alla macchia diventando brigante. L'ennesima delusione tuttavia non abbatte la piccola Oliviero che, stanca di subire, spinta da un'innata voglia di libertà che per troppo tempo è stata costretta a reprimere, perseguitata dalla giustizia, decide di abbandonare la società e salire sui monti per unirsi ai briganti, finendo addirittura per mettersi al loro comando e facendo nascere il mito della brigantessa Ciccilla. "Improvvisamente i difensori della conservazione imbracciavano i fucili della rivoluzione. Eccola l’Italia, pensavo io davanti a quei disinibiti svolazzi, ecco perché siamo condannati a una guerra perenne per la vita, il fratello contro il fratello, il padre contro il figlio, l’uno contro l’altro, tutti contro tutti. Stava nascendo, lo vedevo io come lo vedevamo tutti, un popolo di civette e quel popolo sarebbe stato l’italiano. Eravamo uccelli che si mimetizzavano, che sopravvivevano imparando l’arte di colpire alle spalle, di sorprendere nell’ombra, di rubare agli altri un seppur minimo vantaggio. Eravamo approfittatori e spergiuri, negavamo l’evidenza. Niente per una civetta vale un giuramento, neppure Dio, e anche il papa lasciava che gli italiani si scannassero tra loro piegando la croce e gli altari ai suoi interessi. Cosa vale il Signore senza la terra su cui esercitare la signoria?" Siamo di fronte ad una lettura appassionante che unisce l'azione, i sentimenti, la varietà dei personaggi all'aspetto storico, alla ricostruzione socioculturale di un'intera epoca, in quello che possiamo a ragione definire un romanzo storico, nato da un'accurata ricerca dell'autore tra documenti, atti processuali, fotografie. Prove vecchie di secoli, a cui Catozzella affianca parti prettamente letterarie per dare al libro, oltre al giusto interesse per l'aspetto storico, anche la verve del romanzo. Abbellimenti necessari per creare la giusta empatia e per riempire gli immancabili vuoti, frutto più che della pura fantasia, della capacità di giungere, attraverso un'immaginazione incanalata su una strada ben precisa, a ricostruire i fatti come verosimilmente si sono svolti, a riportare i sentimenti per come plausibilmente possono generarsi, a trarre conclusioni che, per il contesto, l'esperienza umana, la sensibilità dell'autore, non possono che risultare convincenti. "L’amore per noi è qualcosa a cui dai voce solo quando sei in pericolo, perché in tempi normali non c’è. Era comparso, veloce, in fondo alle lettere di Pietro, quando era andato militare, come saluto, con amore, Pietro , e così l’ho sempre preso per quello che era: un messaggio di pericolo. Nessuno mi ha mai spiegato l’amore, le regole non le ho mai sapute. «Mazzi e panelle fannu i figghiuli belli» diceva mamma per giustificare le botte, e questo era quanto. Soltanto alcune vecchie, quando si passava davanti alle porte aperte delle loro case, ogni tanto nominavano l’amore: l’amore e la morte, da noi nella Sila, sono parenti stretti".