Dettagli Recensione
Storia Naturale
Questa è una storia di migranti, una storia reale e non inventata, un’epopea di giovani che scapparono dalla più terribile delle sciagure, la fame, e giunsero a fatica in una terra che gli parve quella promessa, ma che paradiso poi non era, come ebbero modo di appurare.
Per far questo, lasciarono la loro terra natia, e insieme lasciarono i parenti, gli affetti a cui maggiormente erano legati, non tanto i genitori, perché per ogni figlio è fisiologico prima o poi staccarsi dai genitori, in certe condizioni esistenziali difficili è anche un evento che avviene anche presto.
Lasciarono gli affetti impossibilitati a seguirli, quelli più intensi e coetanei, in un certo senso, come una sorella per esempio, perché sposata, con un uomo barbaro, di nome e di fatto, tanto nomini, violento e dispotico, un simil scafista, da cui naturalmente è umano e doveroso sfuggire, certo.
Nessuno in grado di detenere potere sulla propria esistenza affettiva compierebbe un simile abbandono.
Appunto, servono però le condizioni per poterlo fare, per poter restare, chi abbandona non per libera scelta ma per coercizione obbligata il proprio luogo natio, chi scappa da esso, ha una belva feroce alle spalle che lo costringe ad allontanarsi, non consente alternative.
Tenute anche conto che le usanze dell’epoca sfioravano la barbaria allo stato brado per la condizione femminile, volevano che una moglie appartenesse comunque con ogni diritto al marito vita natural durante, una proprietà privata in tutto e per tutto.
Solo che l’intera vicenda, che presenta tratti duri alternati a momenti più dolci e commoventi, pagine violente ed altre delicate, per un tutt’uno delizioso ed avvincente, non è una vicenda dei giorni nostri, niente gommoni malridotti o baracche del mare caricate all’inverosimile, neanche un’emigrazione in piena regola, ma più una transumanza di muli da soma, carne da fatica che dalla fatica volevano trovare riscatto.
Stefania Auci racconta qui, e nel libro a seguire questo, “L’inverno dei leoni”, l’ascesa dei Florio, che dalla Calabria giungono in Sicilia divenendone i padroni, sul finire del diciassettesimo secolo fino al diciannovesimo passando per varie generazioni.
I capostipiti sono due fratelli, Paolo e Ignazio, decisi a tutto per emergere, tosti, inflessibili, il primo più del secondo.
A tutto, appunto; hanno una loro drittura morale, ma questa è solo una condizione iniziale, accumulare ricchezza richiede sacrificio, disciplina, tenacia ed acume.
Le generazioni successive avranno invece il compito di mantenere, conservare, gestire il già fatto, e questo è assai più difficile.
Colui che non ha, lotta, conquista e acquisisce a sue spese, corre rischio di impresa sapendo di poter vincere ma anche di poter perdere, aumentare la propria ricchezza quanto perderla di colpo.
Chi invece già ha, ha solo tutto da perdere: una volta in cima, puoi solo scendere, e la china può essere rovinosa, se non sai puntellarti al meglio.
Chi non è giunto in cima, ma ci è nato, non sa come si appronta il rifugio, ripararne gli inevitabili guasti dell’usura del tempo procurando e sostituendo le travi portanti con materiali più moderni.
La sana, anche se rude e brutale, competizione per arrivare in cima, si accompagna all’instaurarsi e rafforzarsi di una dignità d’essere, un valore morale che ti sorregge nei momenti difficili, puoi perdere tutto ma ti resta sempre la dignità, grazie a questa stai sempre a testa alta.
La competizione tempra, insegna a non avere scrupoli, ma intano crea e affina l’io interiore dove trai forza e ti rifugi in tempesta.
Quando invece rischi che la ricchezza da te goduta ma non da te acquisita si disperda, rinunci finanche alla tua dignità per mantenerne i vantaggi, vieni meno ai tuoi principi pur di continuare a veleggiare sul filo dell’onda. Non ti fai scrupoli, ma nemmeno coltivi un’ etica di valore, ed alla lunga questo fa la differenza.
Tutto il romanzo della Fauci, al di là della sua valenza storica, è un trattato sulla motivazione, sugli stimoli, sulle cause, i motivi, sulla molla interna che spinge ogni uomo ad industriarsi per migliorare le proprie condizioni di vita.
Come va che da un barchino per il minuscolo, e miserabile commercio lungo la costa si finisce per possedere flotte di naviglio commerciale: un’epopea, una scalata al vertice che solo per questo, unita alla saga familiare e relative vicissitudini, spiegano il grande successo commerciale del romanzo.
Quando questa origine della “roba” non è una sana e costruttiva ragione a migliorarsi e migliorare, ma solo una sfrenata lotta per il possesso inteso come potere di non far più dipendere la propria vita dalle miserie materiali che sempre esasperano gli animi, allora ogni conquista è solo sopraffazione, sfruttamento, malvagità d’accumulo e non possibilità di crescita morale, che dovrebbe sempre affiancare quella materiale.
Per padroneggiare, il simile sbrana il simile, diviene il Re, il Re Leone.
Passando dalle primitive buoni intenzioni per rassegnarsi alla dura legge che vuole che, per costruire grandi fortune, serve anche e soprattutto violenza, crudeltà, una fame più grande ma non più di cibo ma di ricchezze, di avidità allo stato brado.
Una bella storia, un romanzo storico ben costruito e scritto anche meglio, forse in maniera troppo telegrafica per possedere descrizioni storiche particolareggiate, comunque una chicca per gli appassionati del genere. Un libro curato, confezionato al meglio possibile, un buon prodotto accattivante. Ma non solo, a ben pensarci: il valore aggiunto del libro è ancora un altro.
Perché è un tomo poderoso, certo, nel testo leggiadro, a volte troppo, e nel numero delle pagine, magari ridondante, si vede che è costato comunque fatica all’autrice, un impegno ed una dedizione encomiabili…ma direi anche al lettore.
Per quanto si giunga alla fine senza abbandonarlo, magari si stenta un po', non è proprio come bere un bicchier d’acqua, da un certo punto in poi si boccheggia, d’altra parte, come dire, il clima, l’afa ed il solleone siciliani vanno per nominata.
A rendere sopportabile il tutto, però, è un valore intrinseco, velato ma sempre si sente che aleggia sulla storia. Un valore al femminile.
Trattandosi di un’autrice donna, si parla qui anche di donne, e della loro “mischina” sorte data l’epoca, gli usi, il maschilismo brutale dei tempi.
Solo che…in natura, il leone è il Re della foresta.
Ordina, comanda, incute timore, rispetto, deferenza, gestisce il potere con la legge del più forte.
Poi si stende, sorveglia il suo regno, con piglio severo, anche noncurante o sonnacchioso, ma pronto a far leva sulle sue doti per sbranare gli oppositori o che insidiano la sua supremazia.
Millanta il suo primato, anche quando non la esercita.
In realtà, chi gestisce il vero potere nei fatti, in pratica è la leonessa.
Va a caccia, snida e insegue le prede, insegna ai cuccioli, bada a tutto e meglio di tutti, probabilmente è la sola che tiene validamente testa all’esemplare con la criniera, senza darlo a vedere, non se ne accorge neanche il diretto interessato, convinto del contrario.
In estrema sintesi, tutto il racconto è una storia naturale.
Più che un romanzo sensu strictu, è un documentario romanzato, si sente la mano, l’impegno, la fatica della scrittrice, ha fatto un buon lavoro, dove i Florio sono i leoni di Sicilia, e Stefania Auci, a nome e per conto dei personaggi femminili, è una leonessa. Cose della vita vera.
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