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Dagli “astratti furori” ai “nuovi doveri”
Quando la prosa sottende la poesia si incontra Elio Vittorini e ci si imbatte in Conversazioni in Sicilia. Il romanziere siracusano utilizza con costanza nelle parti dialogate la reiterazione di parole e di frasi, quasi a renderle degli psichismi a durata interminabile. A mio giudizio è, infatti, impossibile cominciare il discorso legato a Conversazioni senza accennare allo stile inconfondibile di Vittorini. Il romanzo puntava ad intercettare nel 1938, quando uscirono le prime puntate dello scritto sulla rivista “Letteratura”, i ceti colti, quindi le élite giovanili letterariamente avanzate e politicamente anticonformiste. Aveva l’obiettivo di far aprire gli occhi di fronte alla deriva assunta dal regime fascista, ormai sempre di più proiettato su una strada belligerante. Conversazioni è, in primo luogo, un romanzo contro la guerra, poi lo si può anche intendere come un romanzo di formazione e un romanzo familiare. Silvestro, giovane emigrato dalla Sicilia al Nord Italia, torna nella terra natale per qualche giorno, ripensando e rilluminando i rapporti parentali. Il lasso di tempo considerato è molto limitato (due giorni e due notti di viaggio, soggiorno nel paese della madre di una giornata e mezzo), eppure basta a Silvestro per regolare i conti con la comunità d’origine, dalla quale non ha più nulla da imparare. Il protagonista, perciò, da figlio diventa cittadino responsabile e fuoriesce per sempre dalla sua comunità d’origine sorretto da una nuova matura consapevolezza; d’altronde, durante l’intera narrazione, affidata direttamente a Silvestro, che parla in prima persona, si comprende come la Sicilia intorno al protagonista sia rimasta immutata mentre è lo stesso Silvestro ad essere cambiato. Dunque, si passa anche dal microcosmo familiare a quello sociale. Silvestro, difatti, ci porta una testimonianza di solidarietà fraterna nei confronti dei più deboli, dei più offesi della famiglia umana. Quest’ultimo concetto si chiarifica nel finale, nel quale il colloquio con il fratello morto durante la guerra di Spagna oltrepassa la realtà. Grazie a tale conversazione, il protagonista, insieme alla madre Concezione, smaschera la retorica ufficiale fascista ed “ehm” diventa emblematico, e per questo reiterato con insistenza, perché viene capito non solo dalla madre ma anche da tutti gli altri siciliani in piazza. Nel finale, perciò, Silvestro ritrova la parola, quella che gli mancava all’inizio della narrazione quando era paralizzato dai celeberrimi “astratti furori”. La prima pagina del romanzo, dove per l’appunto vengono citati gli “astratti furori” da cui è afflitto Silvestro, è una delle più famose pagine della nostra letteratura. Ci fa immergere completamente nella crisi etico-esistenziale di Silvestro, che, come abbiamo detto, si risolverà con questo suo viaggio di ritorno in Sicilia. Il romanzo è suddiviso in addirittura 49 capitoletti raggruppati in cinque parti e ogni segmento ha una matrice resocontistica: partenza da Milano e arrivo in Sicilia; soggiorno e conversazione con la madre; giro in paese con la madre; incontri con Calogero, Ezechiele, Porfirio e sosta all’osteria; colloquio con il fratello morto, ritorno a casa, fuoriuscita in piazza con la comunità, congedo dalla madre e dal padre (soltanto la quinta parte è plurale ma è la più breve). Due ultimi spunti. Il primo riguarda la già citata madre Concezione. Evolve durante la narrazione e viene elevata nel finale: aderisce, infatti, ai “nuovi doveri”, a cui il figlio fa riferimento a seguito dell’incontro avuto durante il viaggio con un personaggio molto interessante e fondamentale per l’intero romanzo come il Gran Lombardo, colui che invocando i “nuovi doveri” inizia a scuotere Silvestro e a portarlo fuori dagli “astratti furori”. Come accennato, insieme al figlio toglie il velo alla retorica fascista che spingeva l’Italia verso il baratro dell’accettazione e dell’esaltazione della guerra. Concezione, quando entra in scena, è presentata come un’istintiva ma è anche un’instancabile lavoratrice che riesce a sopperire alla totale mancanza del marito. Alla fine, soffre insieme a Silvestro per la morte di Liborio e grida contro gli offensori dell’umanità. Il secondo ed ultimo spunto, invece, riguarda il titolo. Non a caso nella recensione abbiamo ripetuto più volte il termine conversazione. Serve per rimarcare il processo di iniziazione ad un uso rinnovato della parola, tanto che ritrovando la parola Silvestro risolve il suo assillo. È un romanzo di e sulla conversazione nel quale, tra i tanti aspetti, mi ha colpito la capacità di Vittorini di far scoprire tutti i profumi della Sicilia, sollecitando durante la lettura l’olfatto.
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