Dettagli Recensione
la liberazione negata
LA PELLE, DI CURZIO MALAPARTE (1898-1957), pubblicato dapprima in Francia in francese nel 1949 e alcuni mesi dopo in italiano in Italia.
NOTE SULL’AUTORE. Malaparte è stato uno scrittore e giornalista molto famoso (e chiacchierato) in Italia quando era in vita, ma è oggi molto più noto e apprezzato in Francia che in Italia, tant’è che nella pagina a lui dedicata in wikipedia.fr egli è definito come “uno dei più importanti prosatori della letteratura italiana del ‘900”. Avendo letto di lui “La pelle” e “Kaputt”, le sue opere oggi più note, nonché la sua biografia scritta da Giordano Bruno Guerri (fuori catalogo ma reperibile nelle biblioteche) mi sembra che il romanzo più interessante e intrigante di Malaparte sia … la sua vita, che risente di tutte, proprie tutte, le esperienze politiche e culturali dall’inizio del ‘900 all’anno della sua morte, il ‘57. Se ci si pone fuori da un conformismo culturale che impone di o condannare o lodare gli uomini che vissero in un’epoca in cui nessuno poté sottrarsi alla scelta fra l’adesione a un movimento di massa e la solitudine, Malaparte - come uno stendhaliano Julien Sorel novecentesco - impersonerà, certo non sempre suscitando simpatia a causa del suo egotismo, la complessità della storia.
CONTESTO DI VITA CHE FA DA SFONDO AL ROMANZO. Quando il 25 luglio del ‘43 Mussolini è arrestato e il re Vittorio Emanuele insedia al governo il generale Badoglio, CM rientra dalla Scandinavia dove si trova da più di un anno al seguito delle truppe italo-tedesche come “ufficiale comandato” (e infatti mantiene la divisa di capitano degli Alpini) alle dipendenze dell’ufficio stampa dello Stato Maggiore, e varie pagine de La pelle si riferiscono a episodi da lui vissuti nell’Europa del Nord e dell’Est. Al secondo breve arresto per i suoi trascorsi fascisti viene liberato grazie all’intervento dell’amico Henry Cumming, il colonnello statunitense al quale dedicherà “La pelle”, in cui egli è rappresentato dal colonnello Jack Hamilton. In cambio deve però arruolarsi come ufficiale di collegamento col Corpo Italiano di Liberazione al seguito dell’esercito alleato. Così, dopo un periodo di stanza, allo sfondamento del fronte a Cassino nel maggio ‘44 lascia Napoli con le truppe americane e con esse risale fino a Firenze. Nel romanzo egli segue l’avanzata degli Alleati fino a Milano, la Milano di piazzale Loreto, ma in realtà, una volta a Firenze, egli resterà a Livorno, sempre alle dipendenze di Cumming, per un anno e mezzo.
IL TITOLO. Inizialmente il romanzo doveva intitolarsi La peste, ma siccome Camus ha appena pubblicato il suo La peste, CM sceglie il titolo “La pelle” per motivi cui allude lui stesso in due pagine dell’opera: è per “salvare la pelle” che gli Italiani liberati dal giogo nazifascista si ammalano di peste, ovviamente peste morale (e “La peste” si intitola il primo capitolo), quella che li spinge a prostituire se stessi e finanche i figli per approfittare del denaro dei soldati americani.
CONTENUTO (il numero di pagina si riferisce all’edizione Oscar Mondadori). “La pelle” racconta alla prima persona il soggiorno a Napoli e poi l’avanzata a Roma a Firenze a Milano (dove arriva quando il cadavere di Mussolini è ancora esposto in piazzale Loreto) e infine di nuovo a Napoli, al seguito degli Alleati fra il ‘43 e il ‘44.
In questa narrazione non bisogna tanto cercare la verosimiglianza realistica quanto il racconto di un’immaginazione visionaria che non comporta obbligo di coerenza logica. Ogni capitolo racconta un’avventura, se così si può dire, che talora ne richiama alla memoria una analoga vissuta precedentemente. Spesso CM comincia con qualcosa come “Ero lì con … e facevo questo o quest’altro”, poi continua dicendo che si reca con uno o due suoi amici americani in un certo luogo, dove si affacciano su una stanza, dopodichè assistono o partecipano a qualcosa di molto singolare e a vario titolo disturbante che dà origine al titolo (per esempio la “figliata” che prepara l’orgia finale tra omosessuali, o il seppellimento di un ucraino ridotto da un carro armato a una pelle che può essere montata su un bastone e far da bandiera o quella del banchetto in cui viene servito un pesce che sembra una bambina). Anche il finale è “disturbante”: in una Napoli più pagana che cristiana il Vesuvio ha eruttato e si è spento, e i Napoletani vorrebbero resuscitare quel “dio morto” con processioni e invocazioni. “Eravamo sulla vetta di un vulcano spento. - scrive CM - Il fuoco … s’era spento … e ora a poco a poco la terra si raffreddava ... Non v’erano che uomini vivi e uomini morti, sulla terra. Tutto il resto non contava. Tutto il resto non era che paura, disperazione, pentimento, odio, rancore, perdono, speranza … Quella città laggiù … era popolata non già d’innocenti e di colpevoli, di vincitori e di vinti, ma d’uomini vivi vaganti in cerca di che sfamarsi, d’uomini morti sepolti sotto le macerie delle case” (p. 324). Ecco, in fondo al viaggio dei vincitori fra i vinti non c’è una terra promessa, ma una terra ricondotta alla realtà più elementare: la necessità di ricominciare a vivere.
L’ATTEGGIAMENTO DI MALAPARTE RISPETTO ALLA LIBERAZIONE. Colpito da un “bando morale” a causa dei suoi trascorsi fascisti e quindi filo-tedeschi, Malaparte sente da una parte il bisogno di far conoscere la sua partecipazione agli eventi bellici al fianco degli Americani, di enfatizzare la sua ammirazione per loro e di aumentare a dismisura il periodo del suo confino a Lipari, dall’altra parte il bisogno di ridimensionare il sentimento di vittoria degli Italiani. Come? Rappresentando la Resistenza nel cap. “Il processo” in cui un partigiano fucila a sangue freddo i giovani fascisti sulla scalinata di Santa Maria Novella; additando i tanti “eroi di domani” che hanno aspettano prudentemente nascosti il momento di uscire dalle cantine per gridare “Viva la libertà!” (p. 304 e 307); soprattutto, negando la “liberazione” e parlando piuttosto di “vincitori” e “vinti”. Per quanto riguarda i “vincitori”, che sono i soli Americani, da un lato CM tesse innumerevoli altissime lodi dei soldati americani, “morti inutilmente per la libertà dell’Europa”, dall’altra li rappresenta come coloro che pur involontariamente provocano la peste morale dei “vinti”, rappresentati fondamentalmente dai Napoletani, meritevoli di compassione perché da sempre dalla fame abituati a prostituirsi, ma anche altri: gli ebrei crocifissi agli alberi in Ucraina, l’ucraino ridotto a una bandiera di pelle, il suo povero cane Febo (per fortuna non fa affatto la fine che CM racconta), l’ex-fascista “il Magi” e Mussolini, metaforicamente rappresentato dall’enorme feto (sì, “feto”) della parte finale, espressamente onirica, del penultimo capitolo (“Il processo”). Di Mussolini CM scrive: “al pensiero che quell’uomo, un tempo così superbo e glorioso, ... se talvolta, nella mia cella di Regina Coeli o sulla riva solitaria di Lipari … m’ero compiaciuto di maledirlo … come fa l’amante con la donna che l’ha tradito, ora ch’era lì, feto nudo e schifoso, … arrossivo di rider di lui… io pure, per molti anni, prima di ribellarmi alla sua stupida tirannia, avevo come tutti gli altri piegato la schiena sotto il peso della sua carne trionfante ” (p. 315-316).
GIUDIZIO PERSONALE. Come probabilmente si è intuito leggendo quanto precede, Malaparte vuole colpire, e per colpire è disposto a menar fendenti. La sua musa è piuttosto quella del visionario Peter Brueghel di “Margherita la pazza” piuttosto che quella di Filippo Lippi che pur dice di amare, e da questo punto di vista tra le pagine più significative segnalo quelle della “figliata” (nel cap. “Le rose di carne”). Accanto alle molte pagine degne per esempio del teatro della crudeltà o degli spettacoli di Cocteau o del cinema di Bunuel o degli espressionisti tedeschi, CM intermezza descrizioni paesaggistiche molto belle, per quanto disseminate di troppi aggettivi relativi al colore e dissemina le sue pagine di così tanti elementi apparentemente realistici che si è continuamente sollecitati a verificarne la veridicità, per cui la lettura può esserne tanto più stimolante benchè più lenta. Segnalo qui di seguito le cose che mi hanno urtato:
1. alcune false citazioni (molte di versi poetici), soprattutto quella dell’ordine di Badoglio dell’8 settembre del ‘43 (p. 52);
2. i dialoghi inverosimili, che vorrebbero essere profondi o suggestivi, ma che a me suonano semplicemente sconclusionati e quindi noiosi;
3. “tutto sulle sue labbra diventava pretesto a pettegolezzo” (p. 131): a CM ben si applica quel che lui scrive a proposito di un suo personaggio: poiché CM parla e sparla di molte importanti personalità di cui sottace il nome, con l’intenzione abbastanza scoperta a mio avviso di suscitare la curiosità pettegola dei lettori contemporanei;
4. il fatto che CM menta spudoratamente sulla durata del suo confino a Lipari: a p. 155-156 parla di “anni d’esilio”, quando a Lipari c’è rimasto dal nov. ‘33 al giugno ‘341;
5. l’istrionismo di un uomo certo molto colto, intelligente, brillante, che però lascia perplessi per come mette in scena se stesso: la sua cultura classica e artistica, la sua conoscenza anche delle forme popolari della cultura italiana, il suo multilinguismo, la sua stupenda casa di Capri e la villa di Forte dei Marmi, le sue conoscenze altissimamente locate, la sua partecipazione attiva ai fatti d’arme al seguito di importanti graduati americani …;
5. il suo modo di rappresentare la plebe napoletana - e Napoli non gliel’ha perdonato - , verso la quale pronuncia parole di grande compassione (sì, compassione), ma che rappresenta sempre come più prossima al mondo animale che a quello umano (per es. regolarmente parla di “suoni gutturali” quando parla delle voci), dall’alto di un’aristocraticità che tradisce una sua fondamentale nostalgia per una società Ancien Régime in cui i signori proteggano il popolino, oltre che i migliori letterati e artisti, e il popolino si faccia proteggere dai signori;
6. il sarcasmo feroce sugli omosessuali (solo gli uomini peraltro), che per lui sono tutti colpevolmente marxisti / comunisti e pederasti, arrivando a scrivere per es. che “la corruzione dei costumi, nella gioventù europea, aveva preceduto, non seguito la guerra … Già molto prima dei dolorosi avvenimenti del 1939 era parso che la gioventù europea ... fosse vittima di un piano … diretto con freddo calcolo da una cinica mente ... Quella cert’aria equivoca nei modi, negli atteggiamenti, nei detti, nel tono delle amicizie, nella promiscuità sociale fra giovani borghesi e giovani operai … erano fenomeni già dolorosamente noti molto prima della guerra, specie in Italia (dove, in certi circoli di giovani intellettuali e artisti, massime pittori e poeti, si faceva della pederastia credendo di fare del comunismo) … Ciò che sopra tutto mi sorprendeva era il fatto che tale corruzione dei costumi giovanili ... avvenisse col pretesto del comunismo … E m’ero già più volte domandato … se ciò avvenisse spontaneamente … o non piuttosto in conseguenza di una sottile, cinica, perversa propaganda condotta di lontano, e mirante a dissolvere il tessuto sociale europeo, in previsione di ciò che gli spiriti deboli del nostro tempo salutano come la grande rivoluzione dell’età moderna.” (p. 125-126);
7. Parlando dei soldati americani di colore, mai una volta che dica “neri”, ma sempre “negri”, e questi “negri” sono sempre bestialmente sensuali e poco intelligenti; quanto ai soldati americani bianchi, CM mette in scena praticamente solo gli alti ufficiali che lui frequenta, tra i quali “Jack”, cioè Cumming Hamilton, che recita Omero in esametri greci, mentre i soldati semplici sono sempre evocati in modo indifferenziato come nella dedica: “i bravi, i buoni, gli onesti soldati americani, miei compagni d’arme dal 1943 al 1945, morti inutilmente per la libertà dell’Europa” (sì, scrive proprio “inutilmente” (e spiega il senso di questa parola, in modo molto poco chiaro secondo me, nel documento III a p. 331, stralcio del “diario segreto” scritto durante il 1944).
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