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Nel quale i suicidi superano gli stupri (!)
"Il trionfo di Cesare" di Andrea Frediani si è dimostrato in linea con gli altri -pessimi- volumi di questa trilogia. Nel complesso, la serie non fa pensare a dei romanzi nel senso tradizionale, quanto piuttosto a un ibrido tra una sequela di episodi di cronaca e un testo didattico.
Dopo un inizio in cui, per svariate pagine, ci viene riepilogato (leggasi, info-dumpato) quanto successo durante la guerra in Egitto, in questo terzo capitolo seguiamo principalmente le battaglie contro il re Giuba e gli anticesariani nel Nord Africa per poi passare, dopo una breve parentesi dedicata alla celebrazione dei quattro trionfi, allo scontro ben più circoscritto in Spagna, contro quello che rimane della coalizione avversaria, ossia Gneo Pompeo, Attio Varo e -ovviamente- Tito Labieno.
Come nei volumi precedenti, agli eventi storici si affianca una trama fittizia, che in questo caso credo sia stata studiata in modo più attento, seppur rimanga molto prevedibile e piena di plot-holes: ad esempio, l'intera sottotrama di Publio Scevio risulta completamente inutile e fine a se stessa.
I problemi più evidenti riguardano però lo stile di scrittura e la caratterizzazione dei personaggi. Relativamente al primo difetto, abbiamo parecchi dialoghi vuoti, nei quali ci si limita a ribadire fatti noti ad uso e consumo del solo lettore, oltre ad informazioni ripetute ad oltranza (alla centomillesima volta in cui Cleopatra viene nominata a membro, ho avuto la tentazione di lanciare il libro) e interi paragrafi composti da sole domande dirette e retoriche. Riguardo ai personaggi, sono presenti dei comportamenti decisamente OOC (come si può affidare informazioni tanto importanti ad un beota come Bote?), mentre continua la mortificazione delle -poche- donne presenti: Servilia zerbina di Cesare fino alla fine, Eunoe apparsa solo per compiere una delle peggiori azioni possibili, e Veleda della quale parlerò meglio tra qualche riga.
Come promesso ai tempi de "L'ombra di Cesare", ho alcune osservazioni sulla serie nel complesso. Innanzitutto, trovo che sei POV principali -e diversi altri secondari- siano decisamente troppi per una trama così lineare; ci sono poi le note a piè di pagina, insufficienti per comprendere il sistema politico e l'apparato militare della Roma repubblicana, per cui avrei preferito avere un glossario completo a fine volume. La rappresentazione delle figure storiche stravolge completamente la Storia, quando non si tratta di personaggi marginali: Cesare generale infallibile solo grazie ad un inganno, Labieno più zerbino di Servilia e Quinto che possiamo definire solo come Lammerda. Altro tasto dolente sono le scene esplicite, di cui la serie abbonda senza un motivo apparente, dal momento che non portano avanti la trama e non sono funzionali neanche alla crescita delle relazioni; che dire poi della scelta di adottare degli eufemismi tanto ridicoli da rendere fiero il caro Matteo Strukul?
E per ultimo, il piatto forte, ossia il triangolo amoroso. Tralasciandone la risoluzione fulminea tra un accecamento e delle grasse risate, qualcuno potrebbe pensare che per lo meno c'è un lieto fine; e proprio qui vi sbagliate! Dipinta per tre libri seguendo il cliché dello strong-female-character, Veleda continua a cercare un uomo abbastanza forte per poterla riportare in Germania, e Ortwin -in teoria, il migliore dei protagonisti- riesce a conquistarla proprio per aver dimostrato questa forza: c'è una scena atroce in cui lui -lo ricordo, il migliore!- afferma di volersi battere con Quinto ad armi pari per provare a lei di essere una scelta migliore del pazzo assassino stupratore. Tra loro, i gorilla dello zoo intrattengono delle relazioni più civili e sane!
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