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C'è fascismo e fascismo
Quando approcci per la prima volta M, sin dalle primissime pagine sul patetico (nel senso proprio etimologico) raduno di San Sepolcro a Milano, capisci che l’afflato dell’opera che è valsa lo Strega a Scurati è di ampio respiro. Un respiro in cui la storia si mescola con la vicenda umana e psicologica del Paese e, di conseguenza, dell’ “Uomo del secolo”.
Il racconto ha il taglio di una cronistoria e il lavoro sulle fonti dell’autore non può che essere messo in risalto. Tutti conoscono, chi più chi meno mi verrebbe da dire, la vicenda dell’ascesa del fascismo in Italia. Pochi le condizioni perché un fenomeno così radicale abbia preso il sopravvento nel giro di un paio d’anni, rivoltando completamente gli equilibri del potere politico.
“M” è riuscito ad appassionarmi, nonostante il taglio sia quello di una storia con vene romanzate e non un vero e proprio romanzo storico. Il modo in cui si è dentro la testa del duce, di come si riescano quasi a toccare i suoi pensieri, i suoi dubbi, le sue ridicolezze nascoste tra pose e retorica, è il pezzo forte del piatto. La prosa cruda, che non disdegna però la ricercatezza per delineare lo sfondo della vicenda, è il compromesso perfetto tra il racconto scevro dei fatti e il tentativo, per quanto più possibile, di un’analisi che non sia figlia del senno di poi.
C’è il Mussolini arrivista, disposto a tutto o quasi pur di prendersi la sua rivincita personale. Rivincita col mondo, che lo ha relegato a figlio di un fabbro costretto ad emigrare per non morire di fame. Rivincita sugli storici compagni socialisti che non hanno saputo interpretare il segno dei tempi e lo hanno isolato e infine dannato. C’è il Mussolini dei compromessi eterni, quello che alterna sapientemente bastone e carota, tanto con gli avversari politici, quanto (soprattutto) con i rivali interni al fascismo. C’è il Mussolini amante e padrone dei palchi, quello solitario e pessimista, quello ridicolo e ripulito.
Il testo si presta a letture trasversali che possono offrire spunti anche sul presente. La mollezza immobilista di un socialismo italiano che aveva le torce spente e i forconi spuntati e ha fatto marcire i semi maturi di una rivoluzione sociale che non c’è mai stata, ricorda la frammentazione odierna in cui i progressisti sembrano impantanati per sempre. C’è la violenza come matrice, come scopo e come unico rimedio. La stessa che sembra riemergere con forza nel dibattito pubblico e, a cascata, nella vita civile del Paese.
Scurati ha l’indubbia capacità di presentare al lettore tutti i crocevia fondamentali per cui è passata la vicenda del fascismo, cercando di delineare le cause e concause che hanno portato alla degenerazione dello stato liberale. Non ci sono sconti per i picchiatori e bastonatori fascisti, per i loro metodi spicci e barbari, per la loro vigliaccheria. Ma non ce ne sono nemmeno per gli avversari politici, inermi e pachidermici nei loro vani tentativi di mantenere il potere una prerogativa per i pochi frequentatori di palazzo. Nemmeno il Paese, povero, ignorante, pronto a vendersi “per un piatto di lenticchie” viene risparmiato.
In “M”, l’autore non cerca colpevoli ma responsabili. Non traccia il profilo di un mostro sadico che ha ingabbiato una nazione intera, ma quello di un uomo incredibile, davvero, capace di tutto e il contrario di tutto e di un terreno di gioco che ha favorito questa spregiudicatezza. In poco più di ottocento pagine, l’autore copre con una narrazione esaustiva e non noiosa un arco di tempo che va dal 1919 al 1924, con l’omicidio Matteotti, le sue trame e i suoi retroscena, a chiudere la prima fatica di una trilogia che racconterà, a quanti vorranno andare oltre gli slogan e la retorica, un ventennio cruciale per la storia che viviamo ancora tutti i giorni.