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Come le stelle alpine
Il delicato compito, assolto egregiamente da Ilaria Tuti, di far conoscere il ruolo assunto dalle donne friulane durante la Grande Guerra, non era esente dal pericolo più strisciante e latente ovvero quello di non contribuire affatto a restituirne la memoria ma, al contrario, paradossalmente, di impoverirla ulteriormente con un racconto poco degno di nota. E invece, la scrittrice friulana, conosciuta e apprezzata da molti lettori per i suoi precedenti romanzi con protagonista, guarda a caso una donna, il commissario Teresa Battaglia, e la sua terra, il Friuli , riesce a restituire il vero senso della partecipazione femminile al conflitto e la misura di tale impegno, lasciando il lettore attonito rispetto al coraggio e alla generosità di queste donne. E in realtà, dietro la storia particolare legata agli anni del conflitto, vi è la storia millenaria della donna: “la nostra capacità di bastare a noi stesse non ci è riconosciuta, né concessa. L’abbiamo tessuta con la fatica e il sacrificio, nel silenzio e nel dolore, da madre in figlia … ”; ora l’occasione di essere audaci e coraggiose potrà essere palese agli occhi di tutti perché questa volta a chiamare è la guerra, compito solo maschile. È facile riconoscere l’importanza della donna, ma peggio la si dà per scontata, quando a lei è affidato un ruolo cristallizzato, la cura della casa , dei bambini, o ancora dei vecchi, la fatica del tirare avanti in assenza dell’uomo, diverso è invece riconoscerle pare dignità in un terreno mai sperimentato prima: quello delle trincee, dei camminamenti, dei sentieri esposti ai cecchini austriaci … Questo fanno le donne in questione, le Trogarinnen, le Portatrici. Munite solo della loro capiente gerla e degli scarpetz, scarpe fatte di stracci sovrapposti, aderenti alla dura roccia, camminano dal paese fino al fronte e trasportano viveri, medicinali, munizioni portando con sé il canto, la gioia e perfino la speranza. Sono mamme con il seno turgido e dolorante, lasciano i loro piccoli a casa dopo la poppata, sono figlie devote con il pensiero del malato che le attende a valle, sono giovani donne innamorate in attesa che la guerra restituisca loro il ragazzo, vivo. Fra tutte spicca Agata Primus, la sua voce narrante permette di focalizzare l’attenzione del lettore su una storia particolare, la sua, che ha il dono di essere l’emblema di tutte le restanti. Sullo sfondo le vite delle vere portatrici sulla scorta di un’ accurata ricostruzione storica che è stato possibile realizzare a partire proprio dai documenti che la memoria , questa volta maschile, ha voluto conservare e perpetrare. Libro bello, delicato e doloroso, necessario per conservare la memoria di una pagina importante della storia d’Italia, stavolta scritta dalle donne.
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