Dettagli Recensione
Niente e così sia
“Il resto di niente” di Enzo Striano è un romanzo storico, in verità almeno in apparenza di non facile lettura. Un libro interessante, certamente, anche insolito.
Questo perché si svolge in una situazione storica normalmente poco nota al grande pubblico, quello della nascita, alla fine del ‘700, nel nostro Paese, in piena monarchia, e in una situazione sociale di assoluta deriva reazionaria, di quella che potremmo definire la prima “repubblica socialista”, sull'onda delle emozioni trasmesse con i venti rivoluzionari napoleonici.
Una repubblica liberale, democratica, alla quale aderirono entusiasti il fior fiore degli intellettuali locali, che in verità ne furono gli artefici.
Più che il popolo con i suoi caporioni, come spesso accade nelle rivoluzioni a stampo puramente etico, e non di ricerca di migliorie logistiche delle condizioni di vita dei meno abbienti, furono loro, i nobili, gli intellettuali, gli istruiti, i pensatori di larghe vedute, coloro che prepararono il terreno.
Con i loro scritti e le loro idee favorirono l’avvento, in piena aristocrazia, della Repubblica napoletana, che fu tra l’altro un’avventura tanto esaltante quanto breve, dell’ordine di pochi mesi.
Per quanto originale sia l’ambientazione e, come vedremo, la protagonista, in questo tipo di romanzi, il rischio di creare un “polpettone”, rigoroso nella descrizione dei fatti, ma noioso e poco attraente, è sempre assai alto.
Tuttavia, Striano se la cava alla grande, anche perché si sofferma sull'analisi di un personaggio in verità anch'esso assai singolare, un’eroina davvero diversa di come in genere immaginiamo le protagoniste di fatti storici patriottici.
Una vera donna di oggi, giovane, moderna, una femminista ante litteram, anche troppo per l’epoca.
Non è, infatti, una ragazza d’armi, la nostra protagonista, anche se inserita in una situazione storica, una breve parentesi in verità, tuttavia assai sanguinosa.
La nostra si cimenta invece in una battaglia diversa, un conflitto in cui usa, assai bene, armi a lei maggiormente adatti, le lettere, gli articoli, i libri.
In un’epoca, un paese, dove le donne istruite erano per lo più un orpello curioso.
La battaglia della protagonista è uno scontro molto nobile, e lei stessa è una nobile: la battaglia della diffusione d’idee nuove. Nuove, e come tali rivoluzionarie.
Prima di essere uno scrittore, Enzo Striano è stato un giornalista, e un giornalista in servizio presso i quotidiani della sua città; perciò il suo romanzo ha il “taglio” di una cronaca, più che un racconto è un pezzo giornalistico, un resoconto fedele più che una storia di fantasia.
E questo in qualche modo lo alleggerisce, resta un libro difficile, ma ne migliora la leggibilità.
Striano ci parla di una città magnifica, così com'era all'apice del suo splendore sul finire del 1700, e precisamente fino al 1799, e di una donna altrettanto magnifica, la prima “pasionaria” della storia, ben prima delle eroine dei romanzi di guerra più famosi, una fervente democratica e riformatrice, femminista ante litteram, la colta intellettuale Lenor protagonista del “Resto di niente”, la marchesa Eleonora Pimentel de Fonseca.
Giovane nobile di origini portoghesi ma nata a Roma, costretta a Napoli da bambina, insieme alla famiglia, per motivi politici di attrito con lo stato vaticano.
A Napoli la piccola Lenor cresce, integrandosi benissimo, respira a piene nari la napoletanità, intesa come filosofia di vivere con curiosità e acume, senza ristagnare sui pensieri immobili ma proiettando la mente oltre l’orizzonte visibile.
Non solo, ma Eleonora cresce assimilando ben presto lo spirito “letterario” della città, all’epoca al massimo della vivacità culturale, imparando non solo a leggere e a scrivere, fa già quindi ben di più di quanto previsto per una donna dell’epoca, ma si dedica invece con dedizione e con profitto alla letteratura, studiando, componendo, traducendo, dedicandosi con passione allo studio delle lettere.
Tuttavia, Eleonora non si limita a studiare, a scrivere, a leggere, a confrontarsi con i maggiori intellettuali di corte, per la cultura fine a se stessa.
Piuttosto, perché diventino gli utensili con cui forgiare gli strumenti pedagogici e educativi, utili alla plebe, a quanti vivono e sopravvivono ai margini della monarchia, a coloro cui niente è dato, niente è dovuto, nemmeno un resto, il resto di niente.
La crescita intellettiva della giovane, stupefacente in sé, data l’epoca, anche per un’appartenente al ceto nobile e privilegiato vicino alla corte, subisce in un certo qual modo un brusco arresto quando, in seguito a lutti familiari, Lenor è costretta a sposarsi, a metter su famiglia.
Striano dipinge la mentalità corrente all’epoca anche attraverso le vicissitudini matrimoniali della giovane Lenor, data in sposa a un uomo rozzo, brutale, manesco, pur di posizione altolocata, è infatti un capitano dell’esercito, un uomo simbolo del modo di vivere e di pensare più deleteri del tempo.
Lenor è troppo “avanti” per i tempi in cui vive, troppo colta e conscia che esistono altri temi, altri modi di intendere l’esistenza.
Concetti altisonanti come democrazia e liberismo, ostici ad un certo universo retrogrado e reazionario, affascinano la giovane letterata che, dopo l’ennesimo brutale sopruso, con l’appendice del dolore derivante dalla perdita dell’unico figlio, lascia il marito e riprende la sua attività di letterata, bibliotecaria reale, compositrice di saggi e di sonetti, assidua frequentatrice dei salotti letterari, intima amica dei più bei nomi dell’intelligenza illuminata locale.
Aderisce quindi, sull’onda emozionale delle notizie rivoluzionarie che provengono dalla Francia, agli eventi che portano all’avvento della Repubblica Napoletana, partecipando in prima persona ed esponendosi con le armi di cui dispone, le lettere.
I suoi scritti, infatti, di chiaro stampo democratico, pubblicati e diffusi un po’ ovunque, la gratificarono portandola alla carica di direttrice del principale giornale repubblicano; ma appunto si espone in prima persona per le idee in cui crede, e viene per questo imprigionata con l’accusa di giacobinismo.
Come dire un’amica e sostenitrice della costituzione.
L’assalto alle carceri del popolo, in favore del quale si esprimeva nei suoi articoli, la libera e le permettono di vivere in prima persona i fatti della nuova nata Repubblica Napoletana, proclamata nel 1799 ed esistita per alcuni mesi sull'onda della prima campagna d'Italia (1796-1797) delle truppe della prima repubblica francese dopo la Rivoluzione.
Con il suo pensiero, magistralmente riportato da Striano quasi come se Lenor riflettesse ad alta voce, emerge un atteggiamento sinceramente democratico, contrario a ogni compromesso con le correnti moderate e volto soprattutto a diffondere nel popolo gli ideali repubblicani, attività nella quale la Pimentel s’impegnava attivamente in prima persona…e forse anche in maniera ingenua.
Lenor dentro di sé è onesta, ammette di non aver nulla in comune con la plebe, niente, il resto di niente condivide con quei lazzari ignoranti, sporchi e superstiziosi; il suo interesse per loro è diremmo quasi di natura scientifica, volta a una possibile rieducazione pubblica e civile.
Il popolo è lazzaro, perché senza istruzione e senza educazione, come pensa Eleonora, e ciò è vero.
Come suggerisce Striano, intanto che il popolo è ignorante, resta lazzaro: quasi a dire che le rivoluzioni, prima di dar frutto, richiedono tempo.
Lenor non lo sa, non ha una reale conoscenza delle condizioni delle classi inferiori, e i suoi tentativi di rendere popolare il nuovo regime hanno scarso successo; non solo, ma non sa neanche di non avere più tempo, gli eventi precipitano rapidamente e tumultuosamente così come furono creati.
Come sempre il fuoco della rivoluzione arde intensamente all'inizio, per poi rapidamente scemare.
Lenor coerentemente propugna le sue idee, ma ciò acuisce il malanimo dei Borbone nei suoi confronti, e le attira addosso la loro vendetta, la restaurazione è sempre meschina e vendicativa, e quando la Repubblica, nel giugno del 1799, è rovesciata e la Monarchia restaurata, Eleonora è arrestata e rinchiusa in attesa di giudizio.
Sono queste le pagine più struggenti del romanzo, quelle in cui la giovane anela disperatamente di rimanere viva. Fidando del suo lignaggio, fidando del suo ruolo e delle sue motivazioni, fidando di continuare a vivere, poiché la morte è niente, e tutto è sempre meglio di niente.
È impiccata nella storica centrale Piazza Mercato, la principale della città, e con lei il fior fiore degli intellettuali napoletani, come lei coinvolti nei fatti della repubblica, come lei convinti di aver agito per il meglio, come lei, o forse solo con il suo esempio, mostrando un fiero coraggio sul patibolo.
Muore Eleonora Pimentel Fonseca, muore in piazza dileggiata con canzonacce satiriche da quegli stessi lazzari per cui tanto si era spesa, muore con il rimpianto enorme, ma non di morire, ma per il tempo, per lei già finito, e pure c’è tanto da vivere, la morte è niente, anzi è peggio, è il resto di niente.