Dettagli Recensione
L’umana dicotomia
Per quanto scritto all'indomani della Liberazione da un intellettuale dichiaratamente di sinistra, e malgrado sia una storia di lotta partigiana, questo libro non è, né vuole essere, una elegia della Resistenza.
O almeno non solo.
Direi che ha un intento invece meramente morale, con chiari riferimenti etici sulla natura dell’Uomo, e sul significato della propria esistenza, già dal titolo.
Questo infatti non sta a indicare una separazione, meno che mai è uno spartiacque tra buoni e cattivi, uomini definiti tali come sinonimo di buoni, perché combattenti nella Resistenza, o invece indicati come cattivi, perché inquadrati nelle truppe dell’occupazione tedesca e degli ultimi disperati ancora schierati con il fascismo.
Questo romanzo è un libro straordinario per l’epoca della sua pubblicazione, è avanti, in anticipo sui suoi tempi.
Precorre in forma romanzata, attraverso dei racconti di guerriglia nella Milano occupata degli ultimi tempi di guerra, redatti con stile cronachistico, conclusioni intellettive di filosofia morale, che seguiranno di lì a poco.
Considerazioni stupefacenti, e terribilmente logiche, che saranno enunciate più tardi, in modo forse più esauriente ed esaustivo, all'indomani del processo di Norimberga, da valenti studiosi, un nome per tutti, Hanna Arendt, allorché vari pensatori discetteranno a mente fredda, in proposito alla cosiddetta “banalità del male”.
Perché il male, ricordiamolo, è stupido, insensato, illogico, perciò è banale.
Se è banale, significa che è comune, alla portata di chiunque, qualsiasi uomo “normale” o no, può compierlo. Per questo è spaventoso.
Il male alberga in chiunque, nessuno ne è esente, ciascuno a suo modo.
Non esistono gli innocenti, i puri di cuore, gli angeli, ognuno è arbitro di quanto succede nel suo stesso arco temporale di vita.
Chiunque perciò sa fare il male…anche il bene, e però questo è più impegnativo, e meno gratificante.
Solo in questo senso, allora, si può parlare di uomini che si impegnano o meno, uomini e no.
Esiste un solo genere, una sola specie di uomini, l’unica possibile: quella che è in grado di pensare, di ragionare, di distinguere tra giusto e sbagliato, tra corretto o meno, e sa farlo bene, se solo vuole farlo.
Distinguere tra uomini e no in base ad una presunta appartenenza che ti rende incolpevole, non responsabile, uno che ha solo obbedito agli ordini, per quanto pazzeschi, è un falso, un alibi di comodo.
Una menzogna detta sapendo di mentire, anche a sé stessi.
Se un uomo non fa quanto sa perfettamente che è etico, non lo fa perché non vuole, preferisce la scelta più facile e comoda, quella più banale, appunto.
Bene e male guidano la nostra esistenza, sono come due entità viventi, a volte predomina l’una, a volte l’altra, dipende da noi, quale delle due alimentiamo al meglio.
Non esiste nella realtà una netta distinzione tra uomini e no, tra bene e male, tra nero e bianco; tra due estremi esistono infinite sfumature di toni e di colori, e sono queste quella che si rinvengono con maggiore frequenza: sono necessariamente quelle più veritiere.
Sono le circostanze, gli eventi, i fatti creati dall'uomo stesso a guidarli nelle loro azioni; possono perciò trovarsi costretti ad obbedire ciecamente agli ordini, pena la loro stessa vita; altrettanto facilmente possono decidere di prendere le armi e togliere la vita, o ancora possono astenersi, possono scegliere di schierarsi, o di non schierarsi ed assistere passivamente, possono sforzarsi di cambiare fatti, idee, circostanze, possono fare tutto ed il contrario di tutto.
Ognuno presenta una propria sfumatura, e la decide in autonomia.
In ognuno c’ è una spinta a manifestarsi al meglio possibile, date le circostanze in cui si ritrova nel suo personale cammino umano.
Può allora ritrovarsi, come il protagonista Enne 2, un qualsiasi signor nessuno, suo malgrado, nei panni di un capo della lotta partigiana, che progetta e attua eroici attentati contro militari tedeschi
Per poi realizzare, con amarezza, con dolore, che quanto egli ritiene sacrosanto provoca, in maniera stupida e banale, la rappresaglia su quaranta innocenti. Mandando in crisi la sua coscienza.
Un male assurdo, ritenuto indispensabile, proprio per la sua illogicità, non può che provocare altro male, tanto futile quanto doloroso. La banalità del male.
Enne 2 è a modo suo un uomo schierato dalla parte giusta, ma certamente non è un uomo perfetto.
Coltiva amore e passione per la donna di cui è innamorato, che non lo corrisponde, perché già sposata, e dibattuta nel dilemma morale della fedeltà o il cedere al nuovo amore; eppure nel cuore di Enne 2 alberga la comprensione, non il banale livore nei confronti del rivale.
Il male è banale.
Un ufficiale tedesco fa brutalmente sbranare dai suoi cani un pover’ uomo neanche coinvolto nella guerra partigiana, è un atto banalmente indicativo di una mente malata. Finanche un militare che assiste sente stringersi il cuore, e distoglie banalmente lo sguardo.
L’operaio che succede a Enne 2 al comando del gruppo partigiano, per quanto abile, patriottico e coraggioso, evita di sparare ad un giovane tedesco, si riconosce in lui, anche se sarebbe banalmente facile premere il grilletto. E via così, tutto il libro scorre su questa falsariga.
Quello che rende lirico, intenso, addirittura onirico e teorico il romanzo, è con tutta evidenza lo stile con cui è redatto. Mirabile magistrale insieme, unico, originale.
Da un lato le azioni e le considerazioni di Enne 2, le sue emozioni, i suoi pensieri, i suoi dubbi e le sue paure; dall'altro, e appositamente redatto in carattere corsivo, a beneficio del lettore, tutte le altre considerazioni, riflessioni, introspezioni su quei gesti e quei ragionamenti dette con il tono del narratore, di colui che spiega, che discetta, che ragiona.
In verità, non è l’autore, non è il narratore, è l’alter ego del protagonista stesso, la voce della sua coscienza, il suo io interiore che si interroga sulla giustezza e la logica di quanto sta accadendo.
Non è lui, ma sono tutti gli uomini, i veri protagonisti di questo romanzo di Vittorini.
Non è un libro della Resistenza e della Liberazione, è un libro che parla di Resistenza e di Liberazione per sottolineare l’assurdità della guerra, delle morti, delle divisioni, della violenza.
Della banalità del male.
Molto particolare, redatto in forma discorsiva, con artificio del corsivo di cui abbiamo detto, che esprime l’umana dicotomia, che infine si estrinseca nell'unità etica del romanzo.
Un romanzo realista, un’opera miliare del neorealismo letterario italiano, ma direi intensamente realistica, descrive mirabilmente non solo l’azione, ma anche meglio l’interiorità degli uomini.
Se solo si impegnano, sanno essere assai meno banali, gli uomini. Possono, si.
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Commenti
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Di grande impatto. Una scrittura quasi 'teatrale' , nel senso ovviamente positivo del termine : che si potrebbe recitare sulla scena.
E non escludo che ci siano state successive messe in scena
Un saluto
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