Dettagli Recensione
Il ventre aperto di Napoli
L’opera del toscano Curzio Malaparte (pseudonimo di Kurt Suckert) è il racconto crudo e di denuncia dei giorni pieni di miseria e, al tempo stesso, di euforia, della città di Napoli liberata dagli Alleati Americani, durante la seconda guerra mondiale.
“L’onore di esser liberato per primo era toccato in sorte, fra tutti i popoli d’Europa, al popolo napoletano” dopo anni di fame, stenti , epidemie e bombardamenti. Una città che è quasi un ventre aperto, che mostra tutte le bassezze e tutto il suo inferno.
Napoli è una città distrutta, messa in ginocchio, non solo “fisicamente”, esteriormente, ma anche nell’animo. Sono i giorni della peste di Napoli, il battesimo dell’Europa liberata avviene nel segno dell’epidemia. La miseria ha raggiunto il picco e il morbo ha mandato in cancrena anche l’animo dei napoletani diventando una peste morale, un marciume che attecchisce anche presso un popolo che, dice l’autore, è tra i più generosi al mondo. Mai prima di allora Napoli si era abbassata a tanto, il fondo non era stato ancora toccato. Assistiamo attoniti e inorriditi, al pari dei soldati americani accompagnati in città dall’italian liaison officer Malaparte, al mercimonio dei corpi. Di fronte al benessere degli americani, alla libertà finalmente conseguita, i napoletani mettono in vendita tutto e tutti: bambini, mogli, figlie e madri. Che cosa non si fa per un pacchetto di sigarette e una manciata di caramelle?
“La libertà costa caro. Molto più caro della schiavitù. E non si paga né con l’oro né col sangue, né con i più nobili sacrifici: ma con la vigliaccheria, la prostituzione, il tradimento, con tutto il marciume dell’animo umano”.
Di fronte al degrado, alla corruzione della città, all’esercito internazionale degli invertiti, agli orrori dei bombardamenti prima e all’eruzione del Vesuvio poi, l’atteggiamento dell’autore-narratore non è mai chiaro. C’è pietà e comprensione, ma c’è anche denuncia. Malaparte non dà mai un giudizio netto, gli piace contraddire ed essere contraddetto, il gusto della provocazione campeggia anche in questo intenso romanzo. Malaparte è stato sempre una penna scomoda, che scriveva mirabilmente, ma che centrava la realtà al di fuori di ogni ipocrisia.
L’opera venne pubblicata nel 1949 e nelle intenzioni dell’autore, avrebbe dovuto intitolarsi “LA PESTE”, ma proprio nel 1947 Camus lo aveva preceduto e quindi la scelta cadde sulla parola “La pelle”. Mai titolo fu più calzante. Quale profeta, l’autore indica nella salvezza della pelle, dei bisogni primari dell’uomo, lontani da ogni antico ideale, la nuova piramide dei valori umani, una piramide capovolta.
“Voi non immaginate neppure di cosa sia capace un uomo, di quali eroismi e di quali infamie sia capace, per salvar la pelle. Questa, questa schifosa pelle, vedete? (…)Oggi si soffre e si fa soffrire, si uccide e si muore, si compiono cose meravigliose e cose orrende, non già per salvare la propria anima, ma per salvare la propria pelle (…) Tutto il resto non conta”.
Una Napoli distrutta, ma che conserva sempre la sua teatralità evidenziata ed enfatizzata dal meraviglioso artifizio della scrittura di Malaparte che è fatta di immagini. Una prosa sontuosa e ricca, che echeggia Virgilio , Dante e Boccaccio, ma anche Euripide e Sofocle. Un vero parlare attraverso similitudini classiche, termini presi dagli antichi poemi, dalle grandi opere del passato, descrizioni e paragoni con le opere d’arte di tutti i tempi, a testimonianza della grande cultura dell’autore. Indimenticabili le descrizioni del golfo e del paesaggio intorno, i vicoli con i tabernacoli, le scene di coralità tipica del popolo napoletano, la puntualità dei toponimi anche oltre la penisola sorrentina (Malaparte aveva una casa sull’isola di Capri). Una scrittura che dipinge i colori dai più tenui e delicati a quelli più violenti ed accesi, uno stile che riesce a riprodurre anche gli odori, gradevoli o no. Ed eccoci quindi anche noi nei vicoli a godere del profumi dei taralli appena sfornati, delle ginestre e dei fiori che si unisce spesso all’odore del mare, eccoci affacciati al parapetto ad ammirare l’intero golfo e un cielo troppo azzurro su una città che piange.
Una scrittura che coinvolge i sensi simultaneamente e perciò sinestetica. Lascio al lettore la scoperta di una prosa densa, ma scorrevole, magnifica in alcuni passaggi onirici dalle tinte apocalittiche come nel capitolo “ Il vento nero” e quelli paurosi e grandiosi insieme dedicati all’eruzione del Vesuvio, ne “La pioggia di fuoco”.
Le scene cruente e dolorose sono tante, ma sono necessarie anche se talvolta alcune pagine tradiscono un indulgere esagerato e, probabilmente compiaciuto e provocatorio, nella descrizione di autentici orrori che potrebbero infastidire anche il lettore meno impressionabile e paziente.
Un romanzo indimenticabile dimenticato in Italia, profetico ed attuale per certe tematiche.
Vivamente consigliato.
Indicazioni utili
Si avvisano i lettori più sensibili che ci sono molte scene crude, compresa la vivisezione dei cani.
Commenti
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Poi io sono generosa, essendo napoletana....;) (scherzo)
Grazie amici per la condivisione splendida!
La valuto una cosa positiva: secondo me una recensione è anche il posto per dire che un libro - anche quando lo ami a dismisura - non è adatto a tutti.
Buone letture!
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