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La famiglia Florio alla conquista della Sicilia.
Un grande romanzo popolare, la saga di una famosa famiglia siciliana, i Florio: con quest’opera la trapanese Stefania Auci ha conquistato milioni di lettori, prima in alcuni paesi europei e negli Stati Uniti (dove il libro è stato, stranamente, pubblicato per la prima volta) e poi nel 2019 in Italia. La storia, come è noto, è quella di due fratelli, Paolo e Ignazio Florio, che migrano in cerca di fortuna da Bagnara Calabra a Palermo. Con loro c’è Giuseppina, la moglie di Paolo, e il figlio Vincenzo: ma Giuseppina ha nostalgia della Calabria, della sua casa, e per sempre rimpiangerà la terra dove è nata, rifiutando cocciutamente di ambientarsi nella nuova città. Siamo agli albori del 1800, i fratelli iniziano affittando una specie di drogheria (“aromateria”, come si chiamava a quei tempi) e commerciando spezie di vario genere, in un ambiente difficile, fatto di gelosie e contrarietà di ogni genere. Ma i Florio sono tenaci, caparbi. Paolo muore di tisi, Ignazio cresce l’amatissimo nipote Vincenzo come un figlio, quel Vincenzo che pian piano crescendo assumerà la guida della famiglia, diventando l’asse portante della crescita e del successo della casata. Destreggiandosi abilmente durante i moti rivoluzionari e senza inimicarsi la casa regnante napoletana, forte di un carattere indomito pronto ad affrontare ed abbattere qualsiasi ostacolo, in pochi decenni assumerà la guida di quella che verrà considerata la maggiore attività imprenditoriale del Regno delle Due Sicilie. Attività che si esplicherà su molteplici fronti: commercio delle spezie, sfruttamento di cave di zolfo, produzioni vinicole (il famoso marsala), uso di macchinari per la lavorazione del ferro, trasporti marittimi (ottenendo dal Re addirittura il monopolio del servizio postale per la Sicilia), partecipazione in compagnie di assicurazione, quote di proprietà di navi da carico, gestione di tonnare (con la geniale idea di conservare il prodotto sott’olio dopo cottura, per una lunga conservazione)… Non altrettanto felice sarà la vita sociale: Vincenzo, anche se ricchissimo e con numerose proprietà immobiliari, è di umili origini, e sarà sempre considerato un “parvenu” dalla nobiltà locale, anche da quella in difficoltà finanziarie, costretta non raramente a chiedere prestiti proprio a chi si è creato un impero con fatiche inenarrabili. Anche la vita familiare sarà irta di ostacoli. Sposerà una milanese, Giulia, dopo una convivenza difficile e due figlie nate prima del matrimonio: solo un terzo erede maschio, Ignazio, lo indurrà a convolare a nozze. E sarà Ignazio, dopo la morte di Vincenzo nel 1868, a dare finalmente alla casata Florio un erede con sangue “nobile”, sposando una ragazza della nobiltà siciliana. Qui finisce la storia di “Casa Florio”. Una storia che inizia nel 1800 e narra gli avvenimenti fondamentali per l’ascesa della famiglia: sullo sfondo le vicende dei Borbone, i moti rivoluzionari, l’arrivo dei garibaldini e gli inizi del nuovo regno sabaudo. La storia dei Florio è anche una storia della Sicilia di quegli anni: una terra ove l’odore salmastro del mare si mescola con i profumi delle spezie, i rumori e le grida nelle strade e nei vicoli, lo sferragliare delle carrozze della nobiltà latifondista sulla via centrale di pietra che divide Palermo in quattro mandamenti. Ogni capitolo del libro è preceduto da esaurienti riferimenti storici del periodo trattato, a testimoniare l’accuratezza delle ricerche dell’autrice. Lo stile narrativo è fluido, scorrevole, alternando pagine di cronaca minuziosa degli avvenimenti a situazioni in cui nettamente prevalgono i toni melodrammatici: ad esempio la ricerca disperata ed il salvataggio in mare del piccolo Ignazio sfuggito alla sorveglianza dell’istitutrice, l’epidemia di colera a Palermo e la fuga dalla città, il ricevimento e la cena in casa Florio organizzata da Giulia, la moglie di Vincenzo, alla sua prima vera apparizione in pubblico sotto gli sguardi altezzosi della nobiltà palermitana, la morte di Vincenzo Florio ed i ricordi di tutta una vita, sospesi tra i sogni di un lungo e tumultuoso passato e la realtà di un presente che sta tristemente scomparendo. Ecco, forse è proprio a questa altalenanza tra la cronaca puntuale e minuziosa dei fatti ed il pathos di alcune pagine ( due stili narrativi diversi) che può essere rivolta l’unica critica possibile, senza per nulla sminuire la completezza e la grandiosità dell’opera.
Il dialetto siciliano è ben presente nel romanzo. Ogni capitolo è inoltre contrassegnato da un proverbio siciliano. Quello che mi sembra più attinente alla storia è il seguente: “ cu mania, ‘un pinìa” (chi si dà da fare, non patisce).
Un’ultima nota. Il romanzo racconta la storia dei Florio fino al 1968. Sapendo che l’ultima erede, Giulia Florio, è mancata nel 1989, resta da raccontare più di un secolo di vicende familiari: chissà che Stefania Auci non sia già al lavoro per colmare la lacuna!