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Sicilia generosa e tiranna
Ci sono tutte le grandiose potenzialità della Sicilia, insieme ai suoi indiscutibili limiti, in questo bellissimo romanzo di Stefania Auci, che ci racconta, sullo sfondo di quasi un secolo di storia, dalla fine del settecento al 1868, dell’ascesa dei Florio, poverissima famiglia di origine calabrese, giunta nell’isola determinata a crearvi una sorta di impero industriale. Storia di immigrazione dal sud verso un sud che offre maggiori attrattive e possibilità di guadagno. Difficoltà di integrazione, solitudine e isolamento iniziali, nostalgia dei luoghi abbandonati, orgogliosa e pervicace tenacia nel non mollare di fronte agli ostacoli: questo ciò che attende Paolo e Ignazio Florio, questo è ciò che fa soffrire Giuseppina, moglie di Paolo, che ha seguito il marito assai malvolentieri.
La narrazione della Auci è scorrevole e assai ben inserita nello sfondo storico, ben documentato. Non è arbitrario dire, a mio giudizio, che proprio attraverso la lettura degli avvenimenti succedutisi nei quasi ottant’anni in cui i Florio hanno potuto radicarsi e superare le numerose barriere costituite principalmente da pregiudizi sociali, è più facile comprendere la complessità d’una terra piena di contraddizioni, ma altresì affascinante e coinvolgente. Le dominazioni subite, da quelle francesi a quelle inglesi, al dominio dei Borboni, che privilegiavano Napoli rispetto a Palermo, i moti rivoluzionari, tutto ciò ha posto le basi per creare scontento e ribellione in ogni ceto, dai più poveri, sempre ignorati, agli aristocratici, frustrati e delusi.
In questa atmosfera i Florio si trovano ad agire il più delle volte con arroganza e prepotenza, facendone spesso pagare il prezzo alle persone a loro più care. E sono sempre le donne, specialmente in un’epoca in cui non si poteva certo parlare di emancipazione, a subirne le conseguenze più amare. Vittime, sia pure in modo diverso, Giuseppina e Giulia: nessuna scelta è a loro concessa, né del luogo in cui vivere, né dell’amore da manifestare alla luce del sole. Figure molto diverse, ma legate in fondo da un destino comune. In questo mondo maschilista prevale la prepotenza, unico mezzo per affermarsi e farsi notare, soprattutto tra gli aristocratici attenti al lignaggio e ai beni posseduti. Un mondo in cui se non si è leoni si soccombe, dove è l’erede maschio che segna il destino delle famiglie, come nel caso di Ignazio, figlio di Vincenzo, la cui nascita restituisce alla madre quella dignità che le era stata negata.
“Il futuro ha smesso di essere un banco di nebbia al largo” – questo ciò che sente Vincenzo alla nascita del figlio.
Un libro questo, che ci riporta a tratti ad altri grandi siciliani, da Verga a Pirandello, a Tomasi di Lampedusa e che fa persino pensare alla Filumena Marturano di Eduardo per la figura di Giulia. Un libro in cui la storia reale si mescola con equilibrio alla fantasia, indispensabile per raccontare sentimenti, passioni, emozioni, rancori. Ed è proprio questa caratteristica che ne fa un romanzo-documento importante non solo per conoscere la storia della famiglia Florio che ha saputo creare da una semplice piccola aromateria un impero commerciale che ha esteso i suoi interessi nei campi più vari, dal vino, alle tonnare, alle navi da trasporto, ma è importante anche perché meglio ci introduce nel cuore di questa terra generosa e diffidente al tempo stesso, che molto concede e tanto si attende, una terra che è più facile comprendere se le si è vicino per origine e cultura, che non si può fare a meno di amare, nel bene e nel male.