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Ogni viaggio è amore
Forse la follia che ogni essere umano si porta addosso come una possibilità, serve a conoscerci fino in fondo, a capire, a sapere davvero. Infatti, crescere è una malattia insanabile. Laura Pariani, con una scrittura abile e coraggiosa, ricorda Dino Campana, un genio pazzo, arrabbiato e triste, rinnegato ancora dai programmi scolastici e ritrovato nella solitudine delle letture intime.
Il Poeta viene rinchiuso dal 1926 al 1930 nel Regio Manicomio di Castel Pulci, un inferno di attenzioni speciali e pratiche inumane. Ripercorriamo il destino di pazzia e di poesia: una opportunità per ripensare ad una vita folle e alla follia vitale. Il dottor Carlo Pariani è lo psichiatra che ascolta il Poeta raccontare di viaggi, di amori, ascolta la storia in cui la realtà e l’immaginazione si tessono nella trama dolorosa del disturbo mentale. Il romanzo è il racconto a capitoli ed episodi di un viaggio in Sudamerica con la testa persa a fantasiare e a sentire il tremolìzio come voci di potenze invisibili. Che il vagabondaggio ricordato, a piedi o su mezzi di fortuna, sia accaduto o meno, per chi legge non ha alcuna importanza.
Il viaggio chiamato amore testimonia che la poesia ha una relazione diversa e privilegiata con la realtà. Laura Pariani modera la voce per facilitare un percorso doloroso con il corpo, con la mente, con il cuore. E cos’altro è viaggiare se non tornare diversi, con l’occhio esercitato a vedere altre prospettive? La parola di poesia (non il poetico tout court) è sempre reale ed è sangue, lacrime, sudore, è acqua trasparente di fonte ed è torbida pozzanghera, pensiero vivo di morte.
Quello che ci rende schiavi può anche liberarci (p.173): la libertà è intesa come l’esercizio del pensare in autonomia, del godere di ogni volto, di ogni storia, come la possibilità di ogni essere umano di generare significati e valori, anche attraverso l’irreparabilità della morte. L’ombra è sempre espressione di una luce. Lo scarto e la spazzatura raccontano la disciplina alimentare. L’escluso e il nemico portano il nome delle paure. Le periferie e le trincee disegnano la tristezza dei limiti mentali e il bisogno di uno sguardo che si protegge con un orizzonte certo. Le follie tradiscono il desiderio di contare, in ogni caso, sulla relazione. Attraverso la lettura del romanzo, ci tocca ascoltare e ringraziare perfino il nostro diavolo custode.
Dino è profondamente consapevole che le parole a volte giocano brutti scherzi; ché, quando vengono enunciati, anche i brandelli, le briciole dei fatti acquistano importanza, un’imprevista crudezza che sa di realtà… (p.85)
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