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Anche gli dei dimoravano in alto...
L’opera nacque materialmente da un atto di scrittura che si colloca fra il Natale del 1943 e la fine di luglio del ’44 quando l’autore viveva clandestino a Firenze , nel momento più drammatico della guerra, e sentiva più accesa la comunanza emotiva con l’esperienza del confino in Lucania che lo aveva costretto a isolamento e presunta solitudine fra il 1935 e il 1936. Lo scritto in realtà si colloca nel solco delle esperienze precedenti dello scrittore: la nascita da famiglia borghese ebrea, i natali torinesi, la laurea in medicina, l’esordio artistico in qualità di pittore, la militanza politica antifascista convogliata poi nel movimento “Giustizia e libertà” ma già bisogno impellente fra i banchi del liceo e per finire l’esperienza reiterata del carcere. Apparve dopo la Liberazione , nel 1945, ma fu preceduto nel ’39 dallo scritto “Paura della libertà”, l’opera più importante dello scrittore, custode del suo pensiero, pubblicata solo nel ’46 e fortemente osteggiata dalla cultura militante dell’epoca. Fu preceduta anche dalla espressione pittorica rintracciabile nei numerosi quadri che Levi dipinse in Lucania, primo fermo immagine delle forti impressioni che la realtà contadina, a lui fino ad allora sconosciuta, impresse nel suo universo culturale da principio attraverso gli occhi per andare a depositarsi poi nel cuore, residenza eletta dell’universo emotivo. Il libro che scrisse nacque dunque da questo substrato, dall’esperienza diretta, dalla necessità di dare voce a una realtà prima che dimenticata, sconosciuta. La Lucania, una terra estranea e straniera in patria, sentita da principio dall’autore come lontana e incomprensibile quanto inaccessibili gli risultano i due paesi nei quali è costretto a dimora: Stigliano e Gagliano (Aliano, in realtà). Una terra ostile che si arrocca raggiungendo picchi dimenticati da Dio dove l’uomo vive in misere case circondate da calanchi. Un paesaggio aspro, suggestivo e variegato come l’umanità che lo popola. Una terra che lo accoglie e che lui impara a conoscere, apprezzare e amare.
È un’opera ibrida, né romanzo, né saggio, né memoriale; parte certo dal racconto di un’esperienza personale ma si colloca fra poesia, documento, saggio etnografico, racconto, pamphlet politico. La posizione di Levi è ben chiara: questo mondo arcaico e ancestrale è stato capace di preservare “il senso umano di un comune destino” perché si fonda su una “fraternità passiva”, su un “patire insieme”, su una “secolare pazienza”, l’immergersi in esso determina arricchimento umano e ulteriore allontanamento dalla barbarie del presente. Da leggere in ogni epoca.
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In ogni caso è un titolo che non si può non leggere, devo assolutamente recuperare la mancanza.
Grazie per averlo ricordato.