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Il trionfo del tragicomico
Il Camilleri di Montalbano dista parecchio dal Camilleri profondamente "siculo" e dialettale. Quest'ultimo emerge nelle opere di diversa ambientazione storica e temporale, con elemento imprescindibile la locazione territoriale della Sicilia di Vigata, Montelusa e isolana in genere. L'autore con questo ed altri romanzi ha creato un'epopea che sfocia nel mito, nella teatralità più pura e autentica, nel popolare più nobile e mai popolaresco. I contadini poveri e considerati "bestie" o oggetti dalla nobiltà arrogante e immorale sono descritti e si ergono in un'aura di dignità umana che tocca vertici altissimi, sfiorando il miglio Verga. Ma se i maestri del verismo connotavano le loro opere con la tragedia, qui invece si ha una tragicommedia e una serie di situazioni divertenti e di sagacia contadina tali da far alternare commozione e risata in alternanza non solo di capitolo in capitolo, ma di frase in frase. I ritratti delle figure religiose, civili, dei braccianti e degli sgherri, dei parrini e dei mistici, creano mini trame nella narrazione generale, realizzando un quadro ampio e colorato, ricco di odori, sapori, sentimenti. La difficoltà iniziale del linguaggio utilizzato molto dialettale ma anche maccheronico (come dello spagnolo dei nobili) viene presto superata dall'intendimento istintivo del termine. Ci si abitua e ci si immerge quindi non solo in una storia epica, ma anche con un linguaggio originale e adatto proprio a questo tipo di vicende e personaggi. Le figure quasi animalesche sono sanguigne, sessuali, vive. Provano fame e desiderio e vivono con intensità senza rassegnazione, con un senso di comunità oggi sconosciuto. Quest'opera ha un valore etico, una morale che va molto al di la del romanzo. Ci lascia una figura del romanziere filosofo, civilista, democratico, umano, solidale. Tutti elementi che emergono a mio avviso con maggiore forza nelle opere extra Montalbano.