Dettagli Recensione
Primo capitolo di un progetto ambizioso
La prima tentazione che coglie il lettore che si avventura nella lettura di “M. Il figlio del secolo” di Antonio Scurati è quella di considerarlo quale un saggio o una biografia invece che il romanzo storico documentato, ma comunque romanzato, che di fatto è. Ciò accade certamente per il titolo, per la mole ma anche per la circostanza determinata dall’affrontare, da parte dell’autore, un periodo storico in un modo completamente diverso dal come siamo abituati a leggerlo/concepirlo. Ed è soprattutto nella prima parte che, questo carattere, emerge in modo preponderante perché viene analizzata in una chiave di lettura diversa anche una fase che soventemente tende ad essere meno nota.
Tutta la narrazione ha inoltre luogo come se non fosse avvenuta in un tempo passato quanto nel presente. E proprio per questo, anche se tutti ne sappiamo gli esiti, il lettore è sinceramente incuriosito e invogliato ad andare avanti, è spronato a conoscere un personaggio che ha avuto un indiscutibile successo, caratterizzato da un’intelligenza morbosa, capace di rispettare i tempi, di attendere quando è necessario aspettare, di agire quando è necessario intervenire, affiancato da altrettanti protagonisti della letteratura (quali D’Annunzio, nello specifico consiglio di porre l’attenzione sulla presa di Fiume in cui il rapporto tra Duce e letterato non è così univoco come siamo abituati a studiare sui testi di scuola), da donne ma anche da masse coinvolte da quel linguaggio vuoto eppure apparentemente così pieno, e a cui si contrappongono uomini come Matteotti che arrivano al conoscitore con tutta la loro umanità, con tutto il loro coraggio, con tutto il loro desiderio di andare avanti seppur consapevoli dei rischi che stanno correndo.
Attraverso queste voci Scurati si interroga altresì sulle ragioni che hanno portato al fascismo. Si chiede come sia possibile che questo abbia raccolto in così poco tempo tanti consensi, si interroga su quella società indifferente già espressa da Alberto Moravia nel suo “Gli indifferenti”, si interroga sui ruoli che a ciascuno è dato ricoprire, anche ai militi della Prima Guerra Mondiale che non vengono emarginati e dimenticati, anche a coloro che generalmente non avevano voce, si interroga sui meccanismi con cui viene distrutta la democrazia e cioè attraverso la violenza, attraverso il meccanismo che trasforma la paura in odio e che legittima la prevaricazione del più forte sul più debole con un’aggressività organizzata e incanalata verso un nemico che assolve al compito di perfetto capro espiatorio. Spicca, in questo contesto, la figura dell’eroe, dell’immagine, che, ancora oggi, è seguito e idolatrato quale salvatore indiscusso, spiccano ancora i popoli che tacciono innanzi ai fatti che accadono continuando a vivere come se nulla attorno a loro stesse accadendo.
Viene, ancora, messo in evidenza il bipolarismo tra fascismo quale macchina dell’innovazione, dello spazzar via tutto, dell’eliminazione della vecchia classe borghese a favore del nuovo, del giusto, da un lato, e dall’altro, del vecchio dogma politico, incentrato sulla conservazione, sulla preservazione.
Questo e molto altro è “M. Il figlio del secolo” di Antonio Scurati, primo capitolo di un progetto ben più ampio e che mira a ricostruire interamente le dinamiche di quel ventennio così significativo per il divenire della storia italiana.
Un romanzo con tantissimi contenuti e spunti di riflessione (seppur con qualche piccola imprecisione) che, oltretutto, è anche fortemente attuale tanto da invitare anche alla meditazione su quelli che sono i risvolti della società del nuovo millennio.
«Il Fondatore guarda il proprio riflesso nei vetri delle vecchie finestre in centina e non si riconosce. Il dilagare del movimento che lui ha fondato nemmeno due anni prima gli ritorna ammantato della maestà di un pensiero altrui, di una vita straniera.
Ma chi è davvero questa gente? Dov’erano rintanati fino a ieri? Non è possibile che sia stato lui a far nascere queste folle di pantofolai che all’improvviso impugnano il bastone. E nemmeno la guerra. A essere sinceri, nemmeno la guerra può essere il padre di tutte le cose. Il virus che dilaga lungo la via Emilia contagiando migliaia d’impiegati postali pronti a incendiare Camere del lavoro deve essere stato preincubato in tempo di pace. Non può essere altrimenti. Nella guerra non sono rinati, la guerra li ha soltanto restituiti a se stessi, li ha fatti diventare ciò che già erano. Il fascismo, forse, non è l’ospite di questo virus che si propaga ma l’ospitato.
Bisogna precipitare gli eventi. Tutto qui. Può darsi che il nuovo anno ti chiami ad arbitrare il match. DI questo passo, la rivoluzione non ha faranno i comunisti, la faranno i proprietari di due camere e cucina in un condominio di periferia.» p. 302-303
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