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La forza dell'animo
«”Chi sono quelli?” chiese Plinio tirando suo padre per la manica.
“È Garibaldi che consegna l’Italia al re”
“E chi è Garibaldi?”
“È l’eroe dei due mondi.”
“E chi è il re?”
“È il nuovo padrone”»
Scritto nel 1973 e pubblicato nella sua prima edizione soltanto nel 1975, “Piazza d’Italia” ripercorre la storia d’Italia dalla proclamazione dello Stato Unitario sino all’avvento della Repubblica e rappresenta l’esordio di uno degli autori italiani più significativi della seconda metà del Novecento.
Gli elementi che contraddistinguono Antonio Tabucchi e che hanno reso unici i suoi lavori ci sono già tutti, primo fra i tanti è la presenza di quella dimensione quasi fiabesca, ascetica, dove a parlare non è altro che chi la storia la subisce e non tanto la fa, chi dalla storia e dagli avvenimenti esce comunque vinto, comunque sconfitto, passando da un padrone all’altro e non chi, al contrario, ne esce trionfatore.
Protagonisti delle vicende sono tre generazioni di uomini e donne appartenenti ad una famiglia di proletari prima anarchici, poi comunisti, e tutti caratterizzati da un’identità radicata già dal nome. Quarto, Volturno e Garibaldo sono nomi che si susseguono di padre in figlio, ma sono anche sinonimo di identità familiare, di radici. A queste figure maschili si affiancano donne (l’Esperia con le sue fiammelle sulle dita, l’Asmara che ricama e ricama la sua dote fino a riempirne due bauli pur di fermare i presagi degli oroscopi e poter coronare il suo sogno d’amore e di matrimonio e la Zelmira che di unguenti e oroscopi vive) che sono madri, mogli, sorelle, amiche, alleate, donne che con il loro coraggio e la loro determinazione vivono e subiscono la Spedizione dei Mille, le guerre coloniali in Etiopia e in Libria, le emigrazioni nelle Americhe ritmate dai canti e dai tanghi argentini, il sopraggiungere della dittatura fascista, le guerre mondiali e infine la nuova Repubblica con tutto quel che significa. In ogni caso, loro sono al centro degli eventi. Si vedono costrette a privarsi dei loro uomini, li lasciano partire per ritrovarsi poi in compagnia di una cassetta che ne contiene altro che i resti, li vedono perseguitati e nascosti in loculi cimiteriali, li vedono trovar lavoro per bonificare il terreno da tutte le mine inesplose, li vedono nuovamente perderla quell’unica fonte di reddito perché, semplicemente, il lavoro è finito, e ancora, li osservano perire mentre, nel passare da un padrone all’altro, sostengono degli ideali che in un alternarsi di correnti marine, prima vanno bene e poi bene non vanno più.
Un componimento scritto in tre atti, una per ogni fase storica, dove ogni personaggio è memoria, è umanità. Come anzidetto alcuno dei fondamenti che hanno caratterizzato la prosa del pisano manca in questo primo volumetto a noi destinato. In esso ravvisiamo la magia, quella predilezione per l’epica, il gran gioco degli equivoci che si alternano al mistero, il sogno in contrapposizione alla realtà, il misticismo, la magia, tanto che è impossibile non sentirsi a casa.
“Piazza Italia” con le sue 146 pagine appena conduce il conoscitore in un non tempo che è vivido nelle mente e nei ricordi, induce alla riflessione, si fa amare e apprezzare per il caleidoscopio di circostanze e voci narranti, si fa ricordare nel presente, nel passato e nel futuro.
«Ma i soldati indugiavano al portone perché quando il peggio è passato si ha paura del niente» p.113
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