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Il primo Re
Il lavoro e gli studi di Andrea Carandini, per quanto ancora discussi, hanno gettato una nuova luce sulla figura mitica di Romolo e sulla fondazione di Roma. Tuttavia, se anche oggi si può nutrire una maggior fiducia sul fatto che, alla metà dell’VIII secolo avanti Cristo, sia effettivamente esistito un uomo che diede origine a quella che di lì a qualche secolo sarebbe divenuta la più famosa e potente città del Mondo conosciuto, quel personaggio e la sua storia restano ancora avvolti nelle nebbie della leggenda. Di Romolo non sappiamo molto di più di quanto ci narrano gli Annales e le coeve storie agiografiche della Roma dei Cesari che avevano tutto l’interesse ad avvolgere i natali dell’Urbe di un’aura semi-divina, a cominciare dalla paternità del primo re.
Franco Forte e Giulio Anselmi provano a ripercorrere la storia del fondatore riempiendo i fantasmi descritti nel mito con i muscoli e il sangue di esseri umani che vissero e soffrirono in un’era dura e pericolosa. Li animano con sentimenti e passioni. Riviviamo, così, grazie a loro, quella storia fatta di tormenti e di slanci eroici, ma pure di bassezze e inganni. Siamo fatti partecipi dei loro idealismi e sogni di gloria, ma pure delle insicurezze e dei dubbi che agitano ogni uomo che ignora il proprio futuro e non si aspetta certo di divenire leggenda.
In questo romanzo storico, scritto con uno stile agile e scorrevole, ritroviamo i nomi che studiammo sui banchi di scuola, a cominciare dalla bellissima vestale Rea Silvia messa incinta dal dio Marte (secondo la leggenda) o, più umanamente, dall'amante che nascostamente l’andava a trovare nel tempio dedicato a Giove, ove questa era stata rinchiusa dallo zio Amulio che di lei abusava sin dalla tenera età. Rivediamo Numitore, il padre imbelle, incapace di difenderla dagli abusi del fratello, usurpatore del suo trono. Partecipiamo dei dubbi di Faustolo, il pastore che crebbe i due gemelli assieme alla moglie Acca Laurentia, e che si trovò a dover gestire, con il solo buon senso dell’uomo comune, una situazione assai più grande di lui. Poi, ovviamente, seguiamo le vicende di Romolo e Remo, sino al dissidio finale che porterà a morte il più esuberante dei due, l’inquieto Remo. Partecipiamo alle prime scorrerie della neonata civitas, al ratto delle ragazze sabine, alle guerre con i villaggi limitrofi e al consolidarsi di quelle istituzioni pubbliche che contraddistingueranno la Città-stato per i secoli a venire.
Il racconto fluisce rapido attraverso un panorama ben conosciuto e senza soverchi colpi di scena calcando le orme già tracciate dai narratori del passato. Forse, proprio questo è il difetto maggiore. Gli AA. non ha avuto il coraggio di distaccarsi da ciò che ci narra la tradizione storiografica classica. Romolo e Remo, Tarpeia, Tito Tazio, Osto Ostilio, non ci sono mostrati per nulla diversi da come ci erano stati raccontati dai libri di storia romana. Questo pedissequo accodarsi alle fonti classiche toglie spessore ai personaggi che ci appaiono un po’ troppo convenzionali, meno concretamente umani. Romolo è troppo generoso ed altruista. Remo troppo il Caino della situazione. La divisione tra i buoni, che forniranno di ottime fondamenta morali l’Urbe, e i cattivi, biechi e perversi, è eccessivamente manichea.
Se gli AA. avessero osato riscrivere le vicende concedendosi maggiori licenze e lasciando più libera l’inventiva forse il racconto ne avrebbe tratto giovamento, divenendo esso più seduttivo e i personaggi più credibili e concreti. Così, invece, ne è risultata una vicenda epica, ma convenzionale; timidamente rispettosa della traditio.
Comunque è un’opera sicuramente apprezzabile che si legge rapidamente e con piacere. In un’epoca in cui i programmi scolastici prevedono solo lezioni di “geo-storia” nelle quali non si impara bene né la geografia, né la storia, unire al lato meramente avvincente e ricreativo anche un valore didattico è un’operazione tutt'altro che disprezzabile. E questo è un ulteriore punto a favore di questo libro, consigliabilissimo.