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I ribelli muoiono per gli imbecilli
«Nasceva invece in lei un odio adulto, composto ma spietato, verso i tedeschi che facevano da padroni, verso i fascisti servi, nemici essi stessi fra loro, e nemici uniti contro povere vite come la sua, di fatica, inermi, indifese.» p. 20
«La prima parte, la più semplice, la più lunga, la più comprensibile, era ormai di là da una barriera, finita conclusa. Là c’era stato Palita, e poi la casa, il lavoro, le cose di tutti i giorni, ripetute per quasi cinquant’anni: qui cominciava adesso, e certo era la parte più breve; di essa non sapeva che questo.» p. 68
Quando per la prima volta Renata Viganò vide l’Agnese, o almeno colei che nel suo libro porta questo nome, verteva in una brutta situazione. Si trovava in un paese della Bassa, sola con il figlio e con il marito catturato dalle SS a Belluno e di cui non sapeva alcunché. Nel villaggio in cui si era rifugiata la credevano una sfollata con la casa disastrata e ogni rapporto con i compagni era andato perduto con la cattura del coniuge. Quando quindi l’Agnese arrivò con quei suoi brutti piedi scalzi nelle ciabatte nel greto del fiume in cui la Viganò si trovava per far giocare il figlio, quasi non credette alle sue orecchie quando la visitatrice la appellò con il nome di “Contessa”, suo soprannome di battaglia. E dopo le prime smentite e il primo chi va là, un pezzo di carta che costituiva la prova. Perché se uno spariva, si stringevano le file, il vuoto veniva cancellato. Successivamente, un secondo incontro fatto per restare, un incontro dove parlarono di gatti perché l’Agnese aveva una gatta grigia che le era stata ammazzata da un tedesco, perché i tedeschi così scherzavano senza però fare i conti con quelle che erano come l’Agnese che non fece discorsi corti e a sua volta ammazzò il tedesco in questione, e la Contessa ne aveva a sua una volta in casa una nera con gli occhi verdi prima di dover abbandonare la città.
È da questi brevi assunti realmente accaduti che ha inizio questa indescrivibile testimonianza storica della resistenza. Un periodo che ormai i più giovani non conoscono, di cui appena hanno sentito parlare, che spesso snobbano o ritengono superato, quando in realtà è stato una delle tappe più importanti e significative del Secondo Conflitto Mondiale.
E così conosciamo l’Agnese, un’umile lavandaia che vive con il marito Palita, dalla salute cagionevole e che morirà nel treno merce durante il viaggio per i lager. Egli è un uomo che non ha una particolare istruzione ma che sa da che parte sta il bene e da quale il male, che ragiona d’istinto e che è mosso da un’idea politica ben precisa che è fatta di coscienza e di consapevolezza e che lo porta a collaborare con i partigiani. Alla sua dipartita, la moglie, massiccia e dal cuore affaticato, a sua volta non esiterà un attimo al sacrificio e alla causa. Aiuterà i compagni sino all’inevitabile epilogo (di cui al titolo) che nulla ha di eroico restando del suo corpo soltanto un mucchio di stracci nella neve. Ma se anche non si è immolata a chissà quale azione disperata, la sua dipartita è più significativa di una battaglia vinta perché la libertà ha vinto e ha prevalso su tutto, perfino e soprattutto sulla sopravvivenza stessa.
Un romanzo indimenticabile, che resta nel cuore, che si ama pagina dopo pagina, che si respira e percepisce, che ti entra dentro e che solletica le corde più profonde. Un romanzo che è testimonianza e memoria storica, che è concreto e veritiero e che tutti dovrebbero leggere, in particolare i più giovani che purtroppo non conoscono se non per sentito dire di questo periodo. Da leggere con calma, gustandolo pagina dopo pagina, un poco alla volta, senza fretta, senza fare le corse.
«Ma ci sono due chilometri fino all’argine. Come fi fa a portare tanto peso? – disse la Rina. – Si porta, - rispose l’Agnese. – Si porta finché si può.» p. 94
«I ricchi vogliono essere sempre più ricchi e fare i poveri sempre più poveri e ignoranti, e umiliati. I ricchi guadagnano nella guerra, e i poveri ci lasciano la pelle.» p. 166
«I ribelli muoiono per gli imbecilli» p. 237
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