Dettagli Recensione
Un capolavoro crudele
E’ molto difficile recensire un capolavoro, e questo sicuramente lo è, ci si sente inadeguati di fronte alla grandezza della letteratura. L’azione del romanzo si svolge indicativamente in un periodo che va dall’ottobre 1943, quando le truppe alleate anglo-americane sbarcarono a Napoli per iniziare la liberazione dell’Italia dal nazifascismo, fino alla primavera del 1945 quando quelle stesse truppe entrarono a Milano. L’autore è il protagonista stesso del romanzo ed essendo stato nominato Ufficiale di collegamento tra l’Esercito italiano e le forze alleate ha quindi uno sguardo privilegiato sul mondo che lo circonda però lo racconta e lo interpreta a suo modo e nel suo stile. Ed è proprio il modo di raccontare l’estrema alienazione umana senza risparmiare nulla che ha fatto de “La pelle” un libro maledetto e di Malaparte un autore scomodo. Infatti non si può leggere “La pelle” senza prescindere dalla vita del suo autore; in Italia è sempre stato avversato dall’intellighenzia culturale forse per il suo essere un “maledetto toscano” (nel libro c’è tutta la sua toscanità), forse perché fu fascista della prima ora (salvo poi diventare critico verso il regime tanto da essere spedito al confino), fatto sta che la sua fama ancora oggi è all’estero soprattutto in Francia. Questo romanzo è una rappresentazione della verità nel suo aspetto più crudo, scritto da uno scrittore giornalista geniale, lucido, spietato. Da sottolineare l’analogia con la Divina Commedia dove qui Malaparte è un Virgilio poeta che svela al viaggiatore americano suo amico (il colonnello Hamilton) l’inferno nel quale è arrivato. Per la maggior parte il racconto è ambientato a Napoli tranne che per due capitoli, l’XI e il XII, nei quali è narrata l’avanzata delle truppe alleate verso nord e l’arrivo prima a Roma, poi a Firenze (passando per Prato città natale di Malaparte) ed infine a Milano. Con l’arrivo degli americani giunge a Napoli la peste intesa come corruzione, degradazione morale “il morbo…non corrompeva il corpo, ma l’anima”, tutto è in vendita, dignità, onore, corpi, bambini, oggetti, dappertutto c’è orrore, devastazione. Ma Malaparte pur rappresentando l’alienazione fisica e morale del popolo napoletano ha sempre un sentimento di pietas nei confronti dei vinti e dei liberati; Napoli è vista come metafora dell’Europa intera e della disperazione che rende disposti a tutto per sopravvivere. L’autore accettando l’assunto che il male esiste riesce benissimo a contemplare le bruttezze, l’abiezione, senza rifiutarle, sia quando le trova in sé stesso sia quando le vede negli altri, non esimendosi però dal provare vergogna (questo è un tema ricorrente in tutto il romanzo). “ Perché non siete rimasti a casa vostra? Nessuno vi ha chiamati..” l’autore è molto critico nei confronti degli americani che, volendo portare la “civilizzazione” insieme alla liberazione delle popolazioni europee, ritenendosi migliori degli altri, in realtà sono i portatori della peste che pervade tutta l’Europa. Ed ecco l’eruzione del Vesuvio -18 marzo 1944- meravigliosamente descritta nel IX capitolo, vista come forza catartica che lava via la peste, quasi una rinascita dalla distruzione, un segno di speranza. E’ vero, ci sono descrizioni di episodi disturbanti, che sono come colpi nello stomaco ma, prima di ogni crudo racconto, Malaparte ci descrive in modo poetico ed espressionista la natura, la pace, i luoghi, gli stati d’animo mitigando così nel contrasto l’atrocità della storia. Tra tanta magnifica letteratura primeggia il racconto su Febo, il cane dell’autore, ed è una storia traboccante di umanità “L’incontro di un uomo e di un cane, è sempre l’incontro di due liberi spiriti, di due forme di dignità, di due morali gratuite. Il più gratuito, e il più romantico, degli incontri”. Perché “La pelle”? in origine doveva chiamarsi “La peste” ma poiché uscì prima il famoso romanzo di Camus fu cambiato il titolo al libro di Malaparte ma io ritengo che sia stato meglio così; l’autore ci dà in due parti del romanzo un’attinenza al titolo: nella prima parlando col generale Guillaume egli spiega che è la pelle ad averci ridotto così, di che cosa sia capace un uomo per salvare la pelle “Non ci si batte più per l’onore, per la libertà, per la giustizia. Ci si batte per la pelle, per questa schifosa pelle”; nella seconda racconta di un uomo finito sotto i cingoli di un carro armato che viene portato sollevato su una vanga a mo’ di bandiera “ …c’è scritto che quella è la bandiera della nostra patria, della nostra vera patria. Una bandiera di pelle umana. La nostra vera patria è la nostra pelle”. Il romanzo non è un unicum temporale: essendo uscito a puntate, vi si nota la differenza di visione della realtà negli ultimi tre capitoli, scritti più tardi, contenenti sentimenti di umanità che poco si riscontrano nella prima parte del libro ma anche giudizi più politici e personali (contro il regime, i politici e i cosiddetti “falsi resistenti” gli eroi di domani che erano nascosti nelle cantine ). Mi ha colpito molto anche la previsione contenuta in un dialogo tra Malaparte e Jeanlouis che ci riguarda molto da vicino:” E crederanno d’essere uomini liberi. L’Europa sarà un paese d’uomini liberi: ecco quel che sarà l’Europa” e pensare che è stata scritta sulle macerie delle nazioni settant’anni fa! Questa è la grandezza di Malaparte che con “La pelle” è stato anche un precursore di quella che oggi si chiamerebbe docu-fiction. Ci si chiede se quello che Malaparte racconta sia vero (io penso che sia verosimile): la risposta ce la dà l’autore stesso nel libro “Non ha alcuna importanza se quel che Malaparte racconta è vero o falso. La questione da porsi è un’altra: se quel ch’egli fa è arte o no”. A mio avviso sicuramente si.
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