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Amici così, nella segregazione
Le assaggiatrici di Rosella Pastorino – premio Campiello 2018 - sono un gruppo di donne selezionate come cavie: il loro compito è quello di anticipare i possibili effetti di un avvelenamento delle pietanze destinate al Führer (“La colazione, che noi facevamo subito, mentre Hitler la faceva intorno alle dieci, dopo aver ricevuto le notizie dal fronte”).
Tra le assaggiatrici (“Ulla era un bocconcino, così la chiamavano le SS”), alcune si caratterizzano per personalità: su tutte, la narratrice Rosa e la rustica, misteriosa Elfriede che, dopo alcuni cointrasti iniziali, raggiungono un’intesa essenziale ancorché spigolosa (“Si diventa amici così, nella segregazione”). Ed è proprio lo spirito di solidarietà che si crea tra Le assaggiatrici (“Che la vedovanza, effettiva o potenziale, fosse una condizione comune non mi consolava”) – sotto il comune denominatore della paura – l’elemento che infonde ritmo narrativo a un romanzo che ripercorre in forma romanzata la follia di Hilter e alcuni episodi degli anni della dittatura nazista e del suo delirio imperialista.
Rosa vive con i suoceri, attende il marito inviato al fronte in Russia (A Natale “Gregor sarebbe venuto a Gross-Partsch!”) e, quando apprende che risulta disperso, si abbandona alla disperazione, alla quale tenta di reagire seguendo gli istinti che – nell’astinenza forzata – la convincono a cedere all’assedio notturno di uno spietato tenente delle SS.
Tra la fame inquinata dal terrore di finire avvelenata (“Ho la nausea, ammise Heike”), le giornate trascorse sotto la vigilanza dispotica delle SS e la frequentazione della tenuta della baronessa Maria, il romanzo propone, da un’insolita visuale (“Adolf Hitler era un essere umano che digeriva”), la rilettura di una delle peggiori pagine della storia del XX secolo.
Il finale, la parte terza del romanzo, è molto retrospettivo, colpevolista e da reduci.
“Ma non avrei potuto raccontargli della mensa di Krausendorf senza parlargli di chi aveva mangiato tutti i giorni con me, una ragazza con la couperose, una donna con le spalle larghe e la lingua lunga, una che aveva abortito e un’altra che si credeva una maga, una ragazza fissata con le attrici del cinema, e un’ebrea. Avrei dovuto dirgli di Elfriede, la mia colpa. Quella che sbaraglia tutte le altre, nell’inventario delle colpe e dei segreti. Non avrei potuto confessargli che mi ero fidata di un tenente nazista, lo stesso che l’aveva mandata in un lager, lo stesso che io avevo amato. Non ho mai detto nulla, e non lo dirò. Tutto quello che ho imparato, dalla vita, è sopravvivere.”
Secondo un articolo recente, esisterebbe un’applicazione/algoritmo con la quale “costruire” un libro di sicuro successo… e questo romanzo corrisponderebbe alla formula…
Giudizio finale: venefico, mitridatico, tossico.
Bruno Elpis
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Commenti
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Ora noto il divario che hai rilevato tra effettivo valore del libro e piacevolezza di lettura. Questo mi disorienta ancora di più.
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