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Una donna emancipata
Dopo alcune letture poco interessanti, o addirittura insoddisfacenti, ho deciso in questo ultimo scorcio di estate di andare sul sicuro, cioè di affidarmi a un’opera di un autore di comprovata capacità, e allora, per non voler andare troppo indietro nel tempo, per non affidarmi a un classico, ho pensato bene che un narratore come Fulvio Tomizza facesse al caso mio. La scelta non è stata facile, perché della sua produzione ho letto quasi tutto e mi resta ben poco per completare la conoscenza di uno scrittore di indubbie elevate qualità. Fra quel poco ho puntato su L’ereditiera veneziana, che Tomizza ha ricavato da un raro libro di Gianrinaldo Carli (economista, poligrafo, istriano di ampia cultura) imperniato sull’affascinante moglie Paolina, morta assai giovane, a soli venticinque anni. L’epoca è il XVIII secolo, l’ambientazione è nella città di Venezia, ben lontana dall’Istria così cara all’autore, ma pur sempre nel Veneto e per di più con il fatto che il marito è originario degli stessi luoghi dell’autore. Dico subito che le aspettative in parte sono andate deluse, restando comunque un’opera meritevole di essere letta. Questo approccio di Tomizza con un’epoca e un luogo che sono lontani dalle trame e ambientazioni dei suoi romanzi, per di più partendo dal libro di un altro autore, lo lasciano indeciso fra lo scrivere una biografia e un romanzo, tanto che finisce con il mescolare i due generi, senza però arrivare ad apprezzabili risultati. Aggiungo che non è improbabile che nell’autore istriano sia sorta una specie di finalità sociologica, visto che in una Venezia settecentesca, tollerante, ma anche perbenista, conservatrice, ma non chiusa a nuove idee, il fatto che la giovane donna con intelligenza e perseveranza riesca a costruire il destino della sua famiglia è un chiaro richiamo alla parità dei sessi, all’epoca probabilmente al massimo ipotizzabile in qualche mente particolarmente aperta. Paolina, donna energica, pratica, non mascolina, anzi molto femminile, sembra quasi una figura di fantasia, ma sappiamo che era proprio così; semmai ciò che si può imputare a Tomizza è di non essere riuscito a trasmetterci con imparzialità le sue caratteristiche, mentre invece ne risulta soggiogato e quindi si avvertono tutte le sue trepidazioni, forse anche qualche eccesso, che finiscono con idealizzare il personaggio, una mitizzazione che pesa un po’ su un’opera che non è certo fra le migliori di Tomizza, ma che è tutt’altro che disprezzabile. Del resto, questo alternarsi di rigore e partecipazione è frutto dell’incertezza dell’autore che, come ho sopra riportato, appare titubante nel decidere se dare all’opera una chiara impronta storico-biografica, oppure quelle caratteristiche proprie della narrativa.
Non è forse il libro che mi aspettavo di leggere, ma comunque è pur sempre un’opera intrigante, che induce anche a riflessioni di non poco conto e di ciò deve essere dato pertanto ampio merito a Tomizza.