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Uno "sparviero" umano
Andrea Maia è stato ordinario di italiano e latino presso il liceo torinese “Vittorio Alfieri”. Ha scritto Il dolce assenzio, Il sogno di pietra, Il gusto del trifoglio e Gente di collina. Ora pubblica Sparviero nella bufera, una storia di altri tempi e di indiscusso fascino.
Narra la storia di Battista, che
“deve avere anche lui un cuore di sparviero.”.
Già, perché lui, poco più che bambino, recatosi nel bosco si imbatte in uno sparviero ferito. Lo cura amorevolmente, gli costruisce un nido improvvisato, gli cura l’ala ferita con un impiastro in cui mescola fango ed erbe, e lo lega, pensando di tenerlo con sé come un nuovo amico. Gli procura persino del cibo: un topolino morto, che lui divora in un attimo. L’uccello gli è riconoscente, ma non può impedire all’istinto di fare il suo corso, ed appena guarito vola via, verso una libertà che non ammette deroghe. E lui, Battista, è un po’ come quello sparviero, ad undici anni, piccolo ma tenace, viene messo su un treno che partendo da Ceva lo conduce a Torino, nella grande città, per studiare, ospite degli zii. Lì fa la conoscenza con una realtà diversa da quella contadina, a cui era abituato. Gli zii, lui operaio in una tipografia, vivono nella cosidetta “casa da reddito” che era:
“una delle costruzioni neoclassiche erette verso la metà del secolo nelle due principali vie del quartiere (l’altra era via della Rocca, riservata soprattutto alle residenze dei nobili). La costruzione apparteneva alla categoria dei “palazzi da reddito”, in cui convivevano cittadini appartenenti alle varie classi sociali. I proprietario- nobili o alto borghesi, vivevano al primo piano, poi i borghesi imprenditori e benestanti al secondo, i commercianti al terzo, gli impiegati ed operai al quarto, le famiglie più povere, gli studenti e gli immigrati da altre zone d’Italia, si adattavano alle mansarde.”
Ma, dopo i primi entusiastici momenti,
“come lo sparviero che aveva incontrato da bambino, non avrebbe mai rinunciato alla sua libertà”,
così lui vuole emergere dalla sua condizione. Si reca a lavorare in Francia, a Lione, dove mette da parte una discreta somma, e tornato al paese natio, pretende dal padre la quota che gli spetta di eredità. Con quella e con un buon matrimonio d’interesse la sua condizione di vita migliora. Di lì la storia di vita che dal capostipite finisce con i suoi discendenti.
Una storia che narra di esistenze diverse, che ora non sono più. Di valori in cui riconoscersi assai differenti dagli attuali; di situazioni socio-economiche di rinascita e di rivalutazione totale dell’essere umano. Un
“ampio racconto storico, sullo sfondo dei fatti di una grande Storia quanto mai travagliata, tra guerre, pestilenze, massacri e carestie; intravista prevalentemente da un angolo segreto delle campagne monregalesi.”.
La narrazione completa della vita di un uomo e dei suoi discendenti semplice, ma ricca di coraggio, di umanità, di sentimenti e di valori a cui rapportasi forti e decisi. Uno stile fresco, privo di inutili fronzoli, per
“svelare il modo di vivere e faticare da piccoli contadini vittime della malora, costretti all’emigrazione o a combattere in guerre di cui nulla sapevano. “.
Una vicenda le cui nuove generazioni devono rapportarsi con spirito di sacrificio e di insegnamento per una vita più completa, piena, e soprattutto “più umana”, più ricca di meriti e di virtù.