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Giacomo e Rino
Anno 2009, una telefonata e tutto torna alla mente. Siamo nel 1945, Giacomo e Rino sono due dei tanti IMI – internati militari italiani – presenti nel lager Starke Stahle di Berlino. Quello sciagurato 8 settembre 1943 ad Atene, nonostante siano trascorsi quasi due anni, è ancora un’immagine vivida nella mete. Il comandante Vogel, l’eco delle urla che rimbombano e poi il presente con la prigionia, il momento di marciare, il problema di riuscire a mantenere la regolarità del passo nonostante le piaghe ai piedi, i crampi della fame, le bastonate, ma soprattutto l’appello. Quei tre interminabili e insopportabili appelli giornalieri. Sotto il sole o con la pioggia. Nella polvere o nel fango. Con il freddo a meno quindici gradi o l’afa a quaranta, con la neve, il vento, la febbre, un piede rotto, i pantaloni abbassati, nudi o vestiti. L’appello è inderogabile. È una pratica priva di senso che ha una sola funzione: quella di annientare l’umanità, azzerare la dignità. Dieci minuti, questi, in cui l’uomo è preda della mente, della tristezza che si fa largo coi pensieri, della sofferenza e dello sconforto di una esistenza piatta e priva di prospettive. Poi un giorno, uno come tanti in cui gli “schiavi italiani” sono chiamati a rimuovere le pietre, a far pulizia nelle strade per consentire il transito ai tedeschi, ecco che la scoprono: è una Volswagen Kdf Typ 1 del 1942. È l’occasione ideale, la loro unica occasione per scappare. Inizia così la loro rocambolesca fuga per l’Europa, una dipartita per quelle lande ormai disastrate di un’Europa toccata nel profondo dal conflitto, ma anche una dipartita che gli riporterà alla mente il significato – dimenticato – del senso di libertà e dell’amicizia, elementi, questi, che superano le barriere del tempo e dello spazio.
Tratto da una storia vera, il romanzo di Chiappero, affronta un tema attinente alla Seconda Guerra Mondiale difficilmente e meno conosciuto: quello dei soldati italiani (all’estero) prigionieri e schiavizzati dai nazisti perché alla firma dell’Armistizio si rifiutarono di collaborare con loro. Il tutto con un linguaggio semplice, fluido, diretto. Un elaborato senza sentimentalismi la cui unica pecca può essere quella di essere un po’ troppo romanzato e meno storico per chi ama la storiografica, e il cui pregio maggiore può essere il non essere troppo concentrato sulla concezione storica per chi al contrario non la ama.