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Au revoir Pessoa...
«E poi ho cominciato a voler decifrare la realtà, come se la realtà fosse decrifrabile, ed è venuto lo sconforto. E con lo sconforto, il nichilismo, poi non ho più creduto a niente, neppure a me stesso. E oggi sono qui al tuo capezzale, come uno straccio inutile, ho fatto le valige per nessun luogo, e il mio cuore è un secchio svuotato» p. 21
1935. E’ la fine del mese di Novembre quando Fernando Pessoa accusa quel dolore addominale che ne comporterà il ricovero presso l’ospedale di Sao Luis Dos Franceses. E’ in questo luogo che si consumeranno gli ultimi tre giorni della sua vita; settantadue ore che saranno scandite dal ricordo, dal sogno e dal delirio, settantadue ore durante le quali il portoghese riceverà visite tanto inaspettate quanto inestimabili. I suoi personaggi, tra cui quelli con il cui nome ha pubblicato la sua opera, non mancheranno, infatti, di dialogare con lui, di confessarsi, di raccogliere le sue ultime volontà, di accomiatarsi nell’oblio. Il tutto sino all’incontro con il suggestivo “Maestro”.
Giochi di specchi, di fantasmi, di illusione sono quelli che Antonio Tabucchi ci regala in questo breve ma affascinante romanzo dedicato alla morte del compianto ed adorato letterato portoghese. Un testo che, semplicemente, racchiude tutta la poetica e la metafisica pessoana, un testo che scorre nella sua genuinità e bellezza come un fiume in piena chiedendo e richiedendo di essere letto. Ancora, e, ancora.
Echi, dialoghi semplici, una prosa che è canto, un’idea che è pura e semplice originalità, è “Gli ultimi tre giorni di Fernando Pessoa”.
«Anch’io ho dimenticato la morte, disse Antonio Mora, perché ho letto il paterno Lucrezio che insegna il ritorno della vita nell’Ordine della Natura, e ho capito che tutti gli atomi che ci compongono, queste particelle infinitesimali che sono il nostro corpo di ora, dopo torneranno nel ciclo eterno e saranno acqua, terra, fertili fiori, piante, la luce che dà la vista, la pioggia che ci bagna, il vento che ci scuote, la neve candida che ci avvolge col suo manto in inverno. Noi tutti ritorneremo qui sulla terra, o grande Pesoa, nelle innumerevoli forme che vuole la Natura, e forse saremo un cane chiamato Jò, un filo d’erba o le caviglie di una giovane inglese che guarda stupita una piazza di Lisbona. Ma la prego, è presto per partire, resti ancora un po’ fra noi, in quanto Fernando Pessoa» p. 54
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