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"Nada de nada"
«Non mi muoverò più di qui, lo sento: in questa città mi toccherà vivere, forse vi vedrò nascere i miei figli. Ci morirò, infine, e vi verrò sepolta».
Con queste parole sceglie la propria patria d’adozione la marchesa Eleonora de Fonseca Pimentel, protagonista del romanzo storico di Enzo Striano. Trasferitasi ancora bambina dal Portogallo a Roma e poi a Napoli per sfuggire alle persecuzioni contro i giansenisti, la giovane “Lenòr” così preannuncia il suo destino, ormai legato a Napoli, viva e pulsante capitale del Regno delle Due Sicilie. Poetessa, scrittrice e giornalista di grande talento, sarà amica di filosofi e letterati tra i più importanti del suo tempo. Coinvolta nella Rivoluzione partenopea del 1799, darà il suo significativo contributo al tentativo di creare un mondo migliore firmando “Il Monitore Napoletano”, ma pagherà con la vita, insieme agli amici più cari, il suo amore per la libertà.
Protagonista del romanzo, accanto ad Eleonora, è la capitale partenopea, con il suo splendore, le sue miserie e le sue molteplici contraddizioni: la nobiltà, più o meno colta, favorevole o meno a una rivoluzione, sempre intenta a sperperare e a spettegolare sulla regina, l’austriaca Maria Carolina; i lazzari, il vivace popolo napoletano, povero, ignorante, sottomesso, e tuttavia libero e felice in quella povertà, in quell’ignoranza, in quella sottomissione, pago del sole, del mare e della sua bella città; intellettuali provenienti da ogni classe sociale, vivaci, brillanti e ansiosi di andare incontro al futuro sulla scia degli avvenimenti francesi.
Nella rappresentazione dei diversi “mondi” napoletani nulla è lasciato in ombra da Striano, né gli intrighi della corte né la spaventosa miseria dei lazzari: tutto è descritto con implacabile veridicità. E da ogni realtà di Napoli provengono i numerosi e variegati personaggi che circondano Lenòr, ciascuno dotato di una ricca caratterizzazione: Vincenzo Sanges, suo precettore ed amico nella prima giovinezza, l’aristocratico Gennaro Serra, che invece le sarà accanto nella parte finale della sua vita e con il quale Lenòr condividerà la tragica fine; Ferdinando, "il re lazzarone”, rozzo, ignorante e solito trascorrere le sue giornate nei bassi della città, con i pescatori e i popolani; la regina austriaca Maria Carolina, malvista da tutti e sempre al centro di scabrosi pettegolezzi nei salotti napoletani. Particolare attenzione merita Graziella, domestica di Lenòr, emblema dei lazzari e della loro condizione, con la quale la marchesa tenterà senza successo di avviare il suo progetto di educazione del popolo.
Tutti loro e molti altri gravitano intorno a Lenòr, personalità complessa e affascinante, presentata non soltanto come intellettuale ed eroina della sfortunata repubblica partenopea, ma anche e soprattutto come donna, attraverso il suo percorso di crescita, le sofferenze, gli amori, le amicizie, l’appassionato impegno ideologico: tutto è visto attraverso i suoi occhi. La vivacità del mondo napoletano è perfettamente rispecchiata dallo stile: brioso, ricco ed elaborato, ma anche scorrevole e dinamico, incalzante nei momenti più drammatici, minuzioso e attento nelle descrizioni che coinvolgono tutti i sensi del lettore nell’universo di odori, colori e sapori della città. La narrazione è poi ulteriormente vivacizzata dalle frequenti analessi e prolessi, da una miscela di linguaggi differenti, dialetto romano e napoletano, inglese, francese, spagnolo, portoghese, e dall’utilizzo del discorso diretto e indiretto libero, che semplificano i periodi e conferiscono loro rapidità.
"Il resto di niente" cerca di dar voce a un momento fondamentale della storia napoletana, ai motivi e alle cause di una rivoluzione, alle speranze di chi l’ha fatta e alla delusione del fallimento. Gli intellettuali partenopei, principali artefici della repubblica, portarono Napoli in una posizione di primo piano nel movimentato panorama politico europeo di fine Settecento, incoraggiati dall’esempio della rivoluzione francese, ma fallirono nel loro intento perché non supportati dal popolo, che in Francia era stato l’anima della rivoluzione, ancora troppo legato alla figura sacra e paterna del re. Dalle pagine di Striano emerge così una Napoli bellissima e maledetta, lacerata dalle contraddizioni e condannata ad un immobilismo storico in cui annega ancora oggi. Ciò che resta, alla fine, è solo disillusione.
«Come dicono i napoletani per significare nulla, proprio nulla, nada de nada?», si chiede Lenòr. «Ah, sì: il resto di niente».