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Un po’ troppo lungo
La battaglia di Legnano, combattuta nel 1176 fra i comuni padani, alleati a seguito del giuramento di Pontida che diede origine alla Lega Lombarda, e gli imperiali di Federico Barbarossa, sceso in Italia con un possente esercito per riaffermare il suo potere assoluto, è senz’altro uno degli episodi storici che si studiano a scuola e di cui si conserva più a lungo la memoria. Sarà stata per l’istituzione del carroccio, un emblema di questa alleanza comunale, per i continui rintocchi della campana Martinella, per gli indubbi atti di valore, fra i quali, preminenti, quelli di Alberto da Giussano e della sua Compagnia della Morte, sta di fatto che al di là di più recenti motivazioni politiche questo episodio è ben ricordato, magari con svariate eccezioni di fantasia, ma questa unanime volontà di rivendicare la propria autonomia, anche a costo della morte, è qualcosa che rimane bene impresso, perché nella storia italica, fino all’unità del paese, non esistono altri pronunciamenti simili. Desiderio di libertà, sforzo comune e le battaglie sanguinose sono argomenti che giustificano un romanzo storico sulla vicenda, cosa che ha fatto Franco Forte con La compagnia della morte, opera ponderosa, come testimoniano le 417 pagine, non tutte necessarie, anzi a volte si ha l’impressione che l’autore si dilunghi volontariamente per fare corpo.
E’ forse questa la pecca maggiore di questo libro che, per altri versi, si lascia leggere, pur senza particolari entusiasmi, poiché i personaggi veri e di fantasia non sono ben delineati, mancano di quegli approfondimenti necessari affinché il lettore ne avverta la presenza. Si dà più spazio alla vicenda, alla battaglia, insomma all’epico scontro, ed è un peccato perché con un po’ più d’attenzione e un più ampio risalto ai protagonisti sarebbe potuto sortire un romanzo di pregevole livello, fermo restando il difetto della verbosità, delle lungaggini, del numero eccessivo di pagine non completamente giustificato.
Si lascia leggere, a volte con qualche punta di noia, ma non è di quelle opere che restano dentro; va bene al massimo per trascorrere un po’ di tempo ed è inutile pretendere di più.