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Il popolo offeso
“La mafia è come il Padreterno: è tutto o è niente, e come il Padreterno non ama essere nominata.”
All'onorevole Raffaele Palizzolo – detto “il cigno” sebbene somigli più ad un roseo e tenero lattonzolo – vanno riconosciute in identica misura la qualità di arringatore di folle e la titolarità di amicizie “imbarazzanti”.
Nato da contadini, arriva a sedere in Parlamento all'epoca del grande manovratore Francesco Crispi – siciliano come e più di lui – verso la cui politica pubblicamente converge.
Ma né Crispi né altri prenderanno le sue difese quando i giudici lo rinvieranno a processo come mandante di un omicidio eccellente quanto efferato: l'accoltellamento, nel febbraio 1893, di Emanuele Notarbartolo, uno degli ultimi direttori del Banco di Sicilia. Costui intendeva denunciare sia Palizzolo che – probabilmente – Crispi stesso ed i suoi amici: l'accusa era di aver attinto a piene mani dai fondi del Banco per finanziare la propria attività politica.
L'onorevole Palizzolo è indubitabilmente un lestofante. Eppure, facendo della sua battaglia la battaglia tra una regione di saldo spirito autonomista ed il resto del Paese, riesce a passare indenne attraverso tre gradi di giudizio: sarà ricordato come una bandiera della dignità siciliana e dimostrazione vivente dell'insignificanza della parola “mafia”.
Fermo restando che il tempo è galantuomo...
Il “cigno” è la versione romanzata di fatti realmente accaduti: l'omicidio Notarbartolo, delitto di mafia, e la successiva vicenda giudiziaria. Per capire la genesi e la morale del libro – per uno scherzo del destino terminato e pubblicato da Sebastiano Vassalli all'indomani degli assassinii dei giudici Falcone e Borsellino – è utile risalire alla prefazione con cui l'autore accompagna una delle ultime edizioni del romanzo.
Due sono gli elementi che lo hanno colpito e indotto a scrivere di questa storia: il doversi considerare l'omicidio Notarbartolo (a detta di Vassalli stesso) come il primo vero delitto di mafia, e la pronta costituzione di un “Comitato pro Sicilia” a sostegno dell'onorevole rinviato a giudizio. In particolare, una reazione del genere ben si presta a mostrare l'atteggiamento della Sicilia “bene” di fronte al fenomeno mafia, sin dalla fine del secolo diciannovesimo; rappresentative, al proposito, le parole che il professore palermitano Ragusa Moleti pronuncia in una sorta di riunione inaugurale di quello che sarà il comitato pro Sicilia: “la mafia è un pregiudizio dell'Italia del nord contro i siciliani, che non esisteva prima dell'unità d'Italia e che è stato inventato dai nostri beneamati connazionali, per manifestarci così tutto il loro affetto”.
Non è un caso, suggerisce Vassalli, se il primo importante romanzo sulla mafia arriverà solo negli anni '50, con Leonardo Sciascia e il suo “Il giorno della civetta”.
Lo stile del libro non arriva a quello meravigliosamente asciutto, quasi geometrico, di Sciascia; ciò perché Vassalli – da non siciliano che racconta la Sicilia - è poco interessato alla “metafisica del potere” e molto più all'aspetto sociale e “folkloristico” che si manifesta in un determinato luogo e momento storico. E' per questo che la storia si arricchisce di un Palizzolo che è quasi macchietta e di alcune storie e personaggi, l'amante Filicetta su tutti, che combinano l'intento di impegno con la piacevolezza di una pura narrazione letteraria.
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