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Il tenente del sergente nella neve
Nel 1953 usciva edito da Einaudi Il sergente nella neve di Mario Rigoni Stern, opera che ebbe un successo pressoché immediato e che ottenne anche il prestigioso riconoscimento del Premio Viareggio opera prima.
La ritirata di Russia, la strage dei nostri soldati in quella terra lontana, ha trovato nelle pagine dell’autore di Asiago momenti di intensa commozione che ancor oggi stupiscono e avvincono i lettori.
Fra i vari protagonisti di questo romanzo figura anche il tenente Cristoforo Moscioni Negri, energico, severo, competente, ma anche umano e vinto, oltre che dalla guerra, dal crollo della fiducia in chi l’aveva propugnata e poi diretta, senza la minima preparazione e nell’indifferenza per chi la combatteva direttamente.
Questo sentimento di delusione e poi di indignazione che sfocia in rabbia è descritto magistralmente da Rigoni Stern nell’occasione dello sganciamento dalle truppe russe, con quei colpi di mitra esplosi nel buio della notte senza che fossero diretti presso un preciso bersaglio.
Per quanto ovvio, Moscioni Negri, sopravvissuto a questa tragedia, lesse Il sergente nella neve e gli nacque lo stimolo di scrivere un lavoro analogo, ovviamente con la stessa trama e i medesimi personaggi, ma in un’ottica diversa, volta cioè, più che a realizzare un’opera letteraria, a denunciare impietosamente il tradimento del regime e degli alti gradi militari, creando così una sorta di ibrido fra l’indagine storica e la memorialistica.
Ne venne fuori un libro che, sottoposto all’Einaudi con i buoni uffici di Rigoni Stern, venne poi pubblicato nel 1956 nella collana “Saggi” Purtroppo il successo fu limitato e l’autore incolpò l’editore di aver effettuato una presentazione che aveva reso il suo lavoro “una minestra riscaldata”, mettendolo nella scia del Sergente nella neve.
Questo paragone, però, finiva con l’essere inevitabile: stessa ambientazione, stessa trama, stessi protagonisti. Di questa possibilità di considerarlo “una copia” si era reso conto Italo Calvino che stimava il libro e che giustamente nel risvolto aveva chiarito le differenze fra la voce del semplice e tenace alpino che si fa interprete dei sentimenti di piena umanità della moltitudine e la trasformazione di un giovane ufficiale borghese che diventa uomo, maturo e consapevole, libero da pregiudizi e più attento ai fatti concreti e reali, scendendo fra i suoi alpini.
Personalmente, dico che è veramente inevitabile fare un accostamento fra un’opera e l’altra, con la prima che inoltre presentava il vantaggio della novità, ma il raffronto ha un senso nella misura in cui si considerino due opere dello stesso genere. Ora, Il sergente nella neve è prevalentemente un lavoro letterario, mentre I lunghi fucili è marcatamente un’indagine storica, pur se presenta pagine, poche in verità, di notevole impatto e di ottima letteratura.
Se si tiene conto, pertanto, di questa pregiudiziale, è possibile apprezzare il libro di Cristoforo Moscioni Negri che, con le stesse caratteristiche, si ripeterà in Linea Gotica sulla sua esperienza partigiana e con un’amara conclusione sui valori traditi della Resistenza.
Paradossalmente, si potrebbe dire che Il sergente nella neve ebbe anche più successo perché Rigoni Stern riuscì a rappresentare l’abnegazione, il sacrificio e la solidarietà di tanti uomini emersa per effetto delle incredibili incapacità e manchevolezze, sia a livello politico che a livello militare, quegli elementi negativi che ne I lunghi fucili sono oggetto di una meticolosa, severa e anche rabbiosa critica e che determinarono in Moscioni Negri una trasformazione che lo condusse a sentirsi fratello dei suoi uomini.
E’ per questo motivo che ritengo che questo libro abbia una particolare rilevante valenza tale da raccomandarne la lettura, magari unitamente a quella de Il sergente nella neve.
Indicazioni utili
Il sergente nella neve, di Mario Rigoni Stern.