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Una nazione allo sbando
Attraverso gli occhi del ventenne Johnny, studente universitario e giovane recluta del corso per ufficiali del Regio Esercito, Fenoglio racconta il disfacimento di un’intera nazione impantanata in una guerra insensata e alle prese con un regime fascista arrivato ormai al capolinea. In questo momento delicato, il nostro protagonista è alle prese con il duro addestramento e con la pesante quotidianità della vita militare, in cui la difficile coabitazione tra gente proveniente da ogni parte dello Stivale e di ogni estrazione sociale dimostra quanto ancora sia lontana la vera unità all’interno del Paese. Ma le divisioni non mancano neanche a livello politico, la fiducia nel Duce e in ciò che rappresenta è al minimo storico e, a parte qualche “fascistello” che ancora ci crede, “la stragrande maggioranza era afascista, i pochi restanti antifascisti, distribuiti tra settentrionali e meridionali; con questa sostanziale differenza: che per gli anti del Sud i fascisti erano buffoni, per gli anti del Nord criminali.” Per le reclute, ancora lontane del poter essere impiegate al fronte, la vita scorre noiosa fino al fatidico 8 settembre 1943: l’armistizio segna un punto di non ritorno, negli ambienti militari la disorganizzazione e l’incertezza regnano sovrani, la rassegnazione è il sentimento più diffuso e porta ad una inqualificabile arrendevolezza nei confronti degli ex alleati tedeschi. In una nazione divisa, la scelta è restare in un esercito allo sbando o disertare ed unirsi ai ribelli partigiani. Johnny, disgustato e ormai senza fiducia né speranza, vorrebbe soltanto tornarsene a casa ma, ad un passo dalla meta, il suo orgoglio, il suo amore per la Patria, la sua rabbia, lo porteranno ad imbracciare di nuovo le armi. Fenoglio, in poche pagine, riesce ad unire il rilevante valore storico e politico di un’opera che rappresenta una testimonianza importante di uno dei periodi più difficili del nostro paese alla qualità letteraria, regalandoci una lettura al tempo stesso interessante e piacevole. L’autore usa uno stile per lo più sobrio ma si diverte a sfoggiare neologismi e frasi dissacranti nei confronti della retorica e della fraseologia fascista e ad affiancare alla lingua italiana brevi interludi in inglese. Se il sarcasmo gioca un ruolo fondamentale in quest’opera, a risaltare sono le amare e provocatorie riflessioni sulla superficialità, sull’indolenza, sulla negligenza di un popolo che vuole difendere i propri confini con cannoni finti, che si arrende nonostante la netta superiorità numerica, che quando le cose si mettono male si fa annientare dal panico, dalla confusione, dalla paura. “Attraversarono la borgatella, muta e sprangata, solo una gelosia si scostò mostrando una esangue corolla di visi di ragazze, che fissarono tragicamente i soldati, i disgraziati uomini della generazione dalla quale avrebbero estratto i loro sposi e amanti”.
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