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Prima della quiete. Storia di Italia Donati
 
Prima della quiete. Storia di Italia Donati 2016-09-27 04:21:04 Natalia Marino
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Natalia Marino Opinione inserita da Natalia Marino    27 Settembre, 2016
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La parte di Italia

L’inferno in terra di Italia Donati, maestra elementare nella frazione di Porciano, in Toscana, dal 1884 al 1886, raccontato dall’autrice di “Dalla parte delle bambine” (1973), Elena Gianini Belotti. Negli anni in cui la Legge Coppino (1877) rimetteva l’assegnazione della sede scolastica all’arbitrio dei comuni, il ricatto che impone alla giovane donna di sottomettersi all’autorità del sindaco, pena la perdita di un posto di lavoro su cui pesa già la colpa di aver gravato sulla famiglia per tutta la durata degli studi, porta la protagonista di questa storia (vera) a sbattere contro un muro di crudeltà e ignoranza. L’inanellamento di una calunnia dopo l’altra a formare una catena che si stringe intorno al corpo della povera Italia, causerà un definitivo e liberatorio atto di ribellione da parte di quest’ultima.
La seconda protagonista di questo romanzo, l’autrice, compare all’inizio e alla fine del romanzo. Viandante, la vediamo nel primo capitolo addentrarsi nei luoghi che il lettore, con un balzo all’indietro di quasi due secoli, ritroverà fra poco. Ella ne contempla la bellezza paesaggistica e, da cronista, li descrive con un’accuratezza che prepara l’atmosfera delle pagine successive. La campagna, gli alberi, gli uccelli che vi si posano e la natura tutta continueranno infatti a fare da sfondo alle vicenda umana di Italia Donati. Quando si legge: «Così la vedo rizzarsi accanto a me e contemplare estatica il sole che affonda dietro i monti pisani e l’acqua degli stagni che si tinge di lilla e di viola» è il segno che Italia viene ad ‘abitare’ colei che si accinge a raccontare la sua storia ed è allora che il romanzo può cominciare. È a questo punto che l’autrice scompare dietro una narrazione naturalistica, che affida le cuciture dell’intreccio, nonché la ricostruzione degli eventi e la ricaduta di questi sulla psicologia dei personaggi, al discorso indiretto libero e a stralci di documenti e lettere autografe. Efficaci, in questo senso, le scene più polifoniche del romanzo, come le due sedute del consiglio comunale in cui si discute il caso della maestra di Porciano. Non è difficile nemmeno riconoscere l’eco di quella letteratura toscana coeva al periodo di ambientazione del testo: in Italia «inghiottita da una vertigine che temeva la schiantasse a terra» affiora la celebre conclusione di “Con gli occhi chiusi” («Quando si riebbe dalla vertigine violenta che lo aveva abbattuto ai piedi di Ghisola, egli non l’amava più»).
Il ritorno dell’autrice, nell’ultimo capitolo del romanzo – impegnata stavolta in un pellegrinaggio irrisolto poiché nel cimitero del Cintolese, da dove veniva Italia, non le sarà possibile trovare la sua tomba –, segna l’ingresso di una voce di commento allo straziante racconto che si è appena concluso: l’amara condanna di quella società i cui pregiudizi costringevano (e talvolta costringono) spalle al muro le ‘donne sole’ viene impugnata con decisione, viene chiamato in causa “Come muoiono le maestre” di Matilde Serao (1886), compare per la prima volta la parola «sessismo». Prima di ciò è soltanto il mero succedersi dei fatti che infangano la dignità della protagonista, il cui nome, Italia, si sovrappone drammaticamente a quello di un paese chiamato a rispondere di un pezzo della sua storia. In questa discrezione nei confronti della memoria di Italia Donati sembra doversi ricercare la cifra stilistica ed etica di un romanzo che non si compiace mai del suo femminismo e al quale, con il termine “quiete” cui si allude nel titolo, più che una disamina storica dello stato di cose precedente il tempo del racconto, interessa l’indagine di un istante, la messa a fuoco di un ‘tranche de vie’ da integrare con le riflessioni della giornalista.

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