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La normalità è solo questione di postazione
Le streghe di Lenzavacche risalgono al XVII secolo: furono oggetto di persecuzione, come documenta Simona Lo Iacono nella seconda parte del romanzo in un apocrifo carteggio della superstite della strage.
Nonna Tilde e la figlia Rosalba sembrano discendere da questa dinastia maledetta (“Io e Tilde eravamo le eredi di una stirpe di indovine, avevamo una casa di memoria incerta, dominata da dicerie e misteri…”). Vivono ai margini del villaggio siciliano, senza rispettare le regole sociali di un lembo di Sicilia che è vivace miscuglio di credenze, mentalità e passionalità. Unica frequentazione: lo strampalato farmacista Mussumeli.
Poi Rosalba partorisce Felice (“Così inadatto a vivere”), figlio dell’arrotino detto “il santo”: un bambino speciale sia perché sfortunato nella nascita (“Felice, nipote sciancato e senza angeli”), sia perché ha un’indole sognatrice e incline alla fantasia. Il suo destino confluisce in quello di Alfredo Mancuso, il giovane maestro giunto a Lenzavacche nel 1938, che rifiuta i metodi fascisti di una didattica asservita al regime (“Oggi il direttore mi ha detto come comportarmi con l’insegnamento della storia”).
Il tema della diversità (“La normalità è solo questione di postazione … varia a seconda della trincea dietro la quale ci acquattiamo”) è rappresentato con una narrazione sospesa tra la fiaba e la denuncia sociale (“La mia capacità divinatoria non è magia. Solo abitudine alla lettura”).
Giudizio finale: mitologico, immaginifico, diverso.
Bruno Elpis
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