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La signora con due bande bianche sui capelli
Mi corre l’obbligo di una opportuna premessa: se avete visto, nel corso di una gita a Mantova, la famosa Camera degli sposi o Camera picta, che si trova nel Castello di San Giorgio, imponente fortezza adiacente il celebre Palazzo Ducale, oltre a rimanere stupiti per la straordinaria bellezza dell’affresco di Andrea Mantegna, forse vi sarete chiesti chi sono i personaggi ritratti e che occasione, del tutto particolare, il grande pittore aveva voluto celebrare
A queste domande risponde Edgarda Ferri con La casa di Barbara, uno strano romanzo storico che ha più della storia narrata che della prosa, per quanto, considerando alcuni aspetti, fra i quali la fluidità del racconto, la capacità di sondare interiormente i personaggi e un pizzico, ma è solo un pizzico, di creatività, tutto sommato si è indotti giustamente a pensare che non è un vero e proprio saggio.
Visto che il titolo è La casa di Barbara, la Ferri ha voluto ripercorrere, almeno fin dal momento del suo arrivo a Mantova, la vita di Barbara di Brandeburgo, nipote dell’imperatore Sigismondo, promessa in sposa quando aveva solo dieci anni, al diciannovenne Ludovico, figlio ed erede del Marchese Gianfrancesco Gonzaga. Il matrimonio fu celebrato un po’ più tardi, ma lei era ancora poco più di una bambina. Fu un matrimonio combinato come si usava fra nobili, con tanto di prezzo della sposa, che costò ai Gonzaga ben 25.000 fiorini. Eppure l’unione fra questa fanciulla non bella e che all’inizio non sapeva una parola d’italiano, e Ludovico, che pure non era certo un adone, fu uno di quelli rari in cui la coppia combinata da altri visse d’amore e d’accordo. Barbara era una donna intelligente, colta (parlava quattro lingue), tenera, ma anche decisa; lui, spesso assente per le guerre, finì con il trovare in lei quel porto sicuro a cui ritornare. Di figli non ne nacquero pochi, ma purtroppo tutti con il segno della tara ereditata dalla madre di Lodovico, Paola Malatesta. Infatti, sia i maschi che le femmine, chi più chi meno, portavano sulla schiena quella gibbosità che è più conosciuta con il nome di gobba. Se era meno difficile trovare una moglie per i figli maschi, era quasi impossibile che qualche nobile accettasse di sposare una femmina con quella protuberanza, come accadde con Dorotea, promessa a Gian Galeazzo Visconti, che però poi rifiutò decisamente di unirsi a una deforme. Dorotea per il dolore morirà giovane, gettando un’ombra di perenne mestizia sui genitori. Barbara è un personaggio straordinario, una donna che sa governare, ma che conosce la pietà e rifulge fra tutte quelle figure che sembrano messe lì apposta affinchè i visitatori le ammirino, desiderando di sapere i loro nomi e le loro vite. Le mani prodigiose e la mente fuor del comune di un pur tignoso Andrea Mantegna li hanno consegnati ai posteri, dando loro una presenza anche dopo la morte.
La capacità di narrare dell’autore ci porta a conoscerli, ad ammirarli o a coprirli di disistima, ma in ogni caso a renderci partecipi di vite che hanno brillato tanti secoli fa. Senza per forza cercare di indulgere alla commozione, la Ferri ha saputo toccare le corde giuste e, pur rigorosamente attenta ai fatti storici, è riuscita a suo modo a realizzare anche lei un dipinto, con mano ferma, ma lieve, senza ricorrere alla retorica e arrivando anche a vette sublimi.
Leggetelo, perché è imperdibile, e poi magari venite a Mantova, andate a vedere la Camera degli sposi e vi sembrerà di trovarvi di fronte ai ritratti di vecchi amici.
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