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Scrittura: vita e morte
Come sempre accade agli artisti (che siano essi scrittori, pittori, musicisti) la loro figura assurge a maestro del nostro tempo solamente dopo la loro dipartita. Se ne parla e se ne pubblica soprattutto dopo che radio, web e telegiornali hanno dato la notizia della scomparsa. Lo stesso è accaduto con Sebastiano Vassalli, noto per “La Chimera” con cui vinse il Campiello, le cui opere hanno immantinente invaso gli scaffali delle librerie che offrono la migliore visibilità che un libro possa ottenere. Una pratica editoriale con risvolti plurimi: da un lato il comportamento delle case editrici verso l’autore denota freddo cinismo calcolatore ma dall’altro permette di poter avvicinarsi ad uno scrittore di cui, ingiustamente, non si parla e non si è parlato abbastanza. Baso questa mia affermazione non sul suo capolavoro ma su un’opera “minore”, ovvero “Un infinito numero”.
La vicenda ruota attorno alla figura di Timodemo, narratore-protagonista che, dopo essere stato allevato come schiavo nell’antica Grecia viene rivenduto a peso d’oro sul mercato di Napoli dove viene acquistato dal giovane poeta Virgilio. Grazie all’amicizia che si instaura col poeta mantovano Timodemo entra a piè pari nella Storia; viaggia per l’Impero, conosce le figure di rilievo della cultura e del mondo romano dell’epoca; Messalla Corvino, Ottaviano Augusto e soprattutto l’esuberante Mecenate, il protettore di Virgilio e il promotore della cultura romana del tempo.
Ed è proprio in questo fervido e frizzante clima culturale che Ottaviano Augusto, fresco vittorioso contro Antonio, affida a Virgilio, coadiuvato dall’onnipresente Mecenate, il compito di generare il mito di Roma. Infatti una civiltà può affermarsi e farsi rispettare solo se alle spalle possiede una storia mitologica abitata da valorosi eroi e sanguinose battaglie e chi meglio di un poeta può, grazie alla sua abilità, forgiare il Mito? Per questo Virgilio viene scelto e, sulla scorta delle volontà dell’esuberante ed egocentrico Ottaviano, si reca con Timodemo e Mecenate nel paese dei Rasna, cioè in Etruria, ritenuta a ragione da molti la vera culla storico-culturale della romanità. È un viaggio alla ricerca delle radici di Roma; radici che, come testimonierà un incredibile viaggio nel passato, sono intrise di sangue, stupri e violenze di ogni genere; un passato su cui la censura e la rielaborazione poetica virgiliana stenderanno un necessario e interessato velo.
Oltre all’importanza del mito come pilastro culturale di una civiltà, Vassalli insiste con veemenza su un’altra tematica; quella della Scrittura, la cui importanza e centralità all’interno della sua narrazione è esplicitata da Timodemo più volte.
Vassalli, attraverso l’esperienza del giovane schiavo, si chiede come, in un mondo di grafomani, la civiltà etrusca abbia potuto fare a meno della Scrittura; si domanda come sia possibile che a nessun etrusco, in circa un millennio, sia venuta in mente l’idea di tramandare storia, eventi, usi, pensieri, tradizioni ai posteri. La risposta si cela proprio nell’avventura a tinte magiche e surreali che i tre romani vivono una volta giunti nel paese dei Rasna. Qui scoprono come la Scrittura sia inscindibilmente legata al concetto di morte in quanto essa è stata appositamente creata dagli dei del nulla e dell’ombra e di conseguenza scrivere significherebbe condannare a morte qualcuno o qualcosa. La Scrittura, se impiegata dagli Etruschi, avrebbe generato un immediato oblio che si è poi fisiologicamente e storicamente verificato.
A questa visione mortale della Scrittura si oppone la percezione che di essa ha la cultura romana e oserei dire la cultura letteraria in genere. La Scrittura è difatti l’antitesi dell’oblio; essa è la garanzia della memoria, il lasciapassare per evitare il dimenticatoio, la certezza della persistenza. Scrivo quindi esisto si potrebbe parafrasare la massima di Cartesio. Virgilio stesso, che nel corso del testo è spogliato dell’aurea di Vate con cui siamo abituati ad identificarlo, è terrorizzato all’idea di essere dimenticato dai posteri.
L’intera vicenda scorre estremamente piacevolmente; Vassalli utilizza uno stile asciutto, semplice, diretto e privo di circonvolute costruzione sintattiche e ricercati florilegi linguistici. Ricerca la linearità e la semplicità stilistica, un ulteriore punto di forza che si aggiunge alle atmosfere da “Satyricon” che talvolta fanno capolino nella narrazione.
FM