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“Il caso non esiste"
Virgilio, accompagnato dal suo fedele liberto Timodemo e Mecenate, intraprendono un viaggio attraverso le terre abitate dall'antica popolazione degli Etruschi, giunti al termine del loro inesorabile declino, con lo scopo di conoscere le vere origini della civiltà di Roma e il valore della scrittura secondo i Rasna, i quali la padroneggiavano ma non se ne servivano per produrre opere scritte. Una volta tornati a casa, esaudito il loro intento, la loro vita non sarà più la stessa.
Il narratore è Timodemo, il quale, tramite un espediente letterario, si presenta in una visione all'autore e inizia a raccontargli la sua vita, fin dalla nascita.
Personaggio di minore rilevanza storica rispetto a Virgilio e Mecenate, egli afferma di essersi sempre sentito “ai margini che al centro delle cose del mondo: un ruscello in balia del destino, una piuma al vento”, ciò nonostante alla fine del viaggio in Etruria realizzerà di essere il “vero protagonista della storia”.
Essendo il narratore, la sua caratterizzazione è la meglio efficace e chiara fra tutte. Timodemo compie inconsapevolmente una sorta di percorso di formazione, che giunge al culmine nel momento in cui dimostra la sua totale fedeltà verso Virgilio, anche dopo la morte di quest'ultimo.
È il personaggio che mi ha affascinato più di tutti. Ammirabile è la sua fame di sapere, altrettanto la sua devozione verso Virgilio, due capacità che fanno nascere in lui un acuto senso dell'osservazione e del giudizio.
“Mi abituai a guardare il mondo con cento occhi,anziché con i miei due soli, e a sentire nella mia testa cento pensieri diversi, anziché il mio solo pensiero. Diventai consapevole di me stesso e degli alti. Gli uomini senza la lettura, non conoscono che una piccola parte delle cose che potrebbero conoscere, credono di essere felici (…) ma la lettura gli darebbe cento, mille vite, e una sapienza e un dominio sulle cose del mondo che appartengono solamente agli dei.” (Timodemo)
Per quanto riguarda Mecenate e Virgilio, l'autore ha saputo descriverli in maniera diversa e nuova rispetto alla classica storia. Mecenate risulta essere un uomo in balia del Fato, inizialmente uomo potente e di grande prestigio, poi dimenticato dalla “Fama”.
Virgilio invece, poeta innamorato e illuso dal fascino della poesia, appare timido, impacciato e privo di senso del volere.
Il tema della scrittura presso gli Etruschi, e in particolare la relazione tra la breve esistenza dell'uomo rispetto all'eternità del tempo che scorre, sono le linee guida di Vassalli, il quale però, a mio parere, non riesce a renderle ai lettori in maniera completa e chiara.
Ho gradito l'intera narrazione, ma il finale mi ha lasciata perplessa, insoddisfatta. Mi aspettavo una risposta più chiara agli interrogativi che sono alla base del viaggio intrapreso dai personaggi, ma forse è proprio questo che, creando una sensazione di mistero, rende interessante e piacevole“Un infinito numero”, opera dalla narrazione “fosca” ma coinvolgente.
Romanzo non caratterizzato dalla rigorosità propria del genere storico, è al centro tra realtà e mito.
Vassalli aggiunge nuovi dati a quelli storici, che i libri scolatici ovviamente omettono, come ad esempio i frequenti rimandi al sesso o la descrizione del leggendario Enea come “uomo grasso e schifoso, più viscido di una lumaca, più puzzolente di un porco”.
Ho molto appezzato questa lettura, l'intera storia mi è parsa equilibrata fra le parti, lo stile utilizzato dall'autore è semplice e la suddivisione in bravi capitoli ne fa un libro di estrema scorrevolezza.
Lo consiglio a chi ha voglia di leggere qualcosa di semplice e allo stesso tempo colmo di utili spunti di riflessione.