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La politica della mistificazione
Che le dittature, in quanto tali e per reggersi, abbiano la necessità di un controllo stretto della stampa, anzi loro stesse diventino l’organo di comunicazione ufficiale, e che abbiano necessità di creare falsi miti per ornarsi di un alone leggendario è cosa risaputa. Se poi una di queste dittature è quella fascista, pur nella drammaticità dei suoi effetti, raggiunge vette altisonanti, ma anche ridicole, nella mistificazione dei fatti. Deve aver pensato a questo Camilleri quando ha scritto Privo di titolo, un romanzo in cui la drammaticità di un’esistenza schiacciata dall’alto lascia poco spazio a venature ironiche o addirittura comiche. Ma Camilleri è Camilleri e dunque in presenza di un regime vanaglorioso non può fare a meno di ricorrere a note satiriche, rafforzando così l’idea che dietro a un palcoscenico di divise, di retorica e di proclami ci fosse il niente, o meglio si nascondesse l’esistenza di uomini di pochi scrupoli che tenevano solo ed esclusivamente al potere.
La narrazione inizia nel 1941, a un’adunata in cui si commemora la scomparsa violenta di un martire fascista, ucciso mentre con altri camerati aggrediva un esponente comunista. Da poco sedicenne Camilleri assiste alla cerimonia e nota un uomo che in disparte piange disperatamente; allora chiede a suo padre chi sia e lui gli risponde che si tratta dell’assassino. Poi si torna indietro nel tempo, a quel 1921 allorché il delitto in questione venne commesso; seguono le indagini, complesse perché non si vuol pervenire all’evidenza di cosa è accaduto, ma alla fine il processo a carico dell’imputato lo vedrà prosciolto, anche se la sua vita sarà costellata da una serie continua di vessazioni. La sentenza è del 1924, anno in cui Mussolini si reca in Sicilia, per la precisione a Caltagirone, per porre la prima pietra di una nuova città, Mussolinia, città fantasma, perché non verrà mai edificato nulla, vista l’intenzione di limitarsi a una cerimonia di promesse che diano lustro al regime senza impegnarlo. La visita non è senza intoppi, poiché scoppiano dei disordini, e nella loro descrizione spicca la vena satirica di Camilleri.
I due fatti, l’assassinio e la prima pietra di Mussolinia, non sembrano collegati e invece lo sono, perché rappresentano l’abituale mistificazione di un regime; del resto, realizzata, nelle circostanze, con la creazione di un martire, che martire non è, e con la festa trionfale per l’avvio dei lavori di una città che non verrà mai costruita, perché non c’è la volontà di realizzarla effettivamente.
L’approccio di Camilleri con l’ideologia fascista é tuttavia incompleto, cogliendone solo questa caratteristica, evitando tuttavia di scivolare nella parodia, come invece gli era capitato con Il nipote del Negus e con La pensione Eva. Comunque, pur con questo limite, si deve tributare il merito all’autore, che conta lettori a profusione, di contribuire a mostrare cos’era veramente il fascismo, perché oggi quelli che l’hanno vissuto dimostrano una scarsa memoria, mentre gli altri lo ignorano del tutto, o al più si limitano a considerarlo un regime dittatoriale, senza tuttavia sapere come sia un regime di questo tipo.
Da leggere, quindi.