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Cinquanta sfumature di Caligola
Il “Caligola” di Franco Forte in parte contravviene alla figura che dell’imperatore è stata fornita da storici come Svetonio: ossia di despota dissoluto, sanguinario e folle, che si macchiò di stragi e nominò il suo cavallo come primo tra i senatori (“Nominerò Incitatus console, con la ratifica del Senato”). Un sovrano, insomma, che ai giorni nostri potrebbe tranquillamente essere accostato a Gheddafi (per la lussuria: il libico si circondò di amazzoni; per il lusso: chi non ricorda la pistola d’oro di Gheddafi? e per le mille altre stranezze, come i guanti bianchi indossati dal colonnello africano per non toccare mani sporche di sangue); o al nord coreano Kim Jong Un, capace di giustiziare un generale perché si addormenta di fronte a lui…
In questo tentativo di prescindere dai precedenti, Franco Forte indugia nelle prime fasi della vita del futuro imperatore, per ricercare nell’humus familiare e nel contesto storico del I secolo dopo Cristo (“Chi è il prefetto della Giudea? Ponzio Pilato…”) i possibili antecedenti dell’abisso (parte III del romanzo) e della follia (parte IV) nella quale precipitò Gaio Cesare Germanico, ribattezzato Caligola (“Drusilla era la sola che avesse il permesso di chiamarlo ancora Gaio”) per via delle calzature che amava indossare.
In un clima perennemente minato dai dissidi familiari (“Quando… Gaio aveva saputo del suicidio della madre, aveva tirato un sospiro di sollievo…”), dalle lotte dinastiche per la successione al trono di Tiberio, da tradimenti e vendette (“Chi dobbiamo mandare a processo, oggi? … Le delazioni e le reciproche accuse fra senatori piovevano a ritmo continuo…”), Caligola adotta metodi difensivi (“Non è la prima volta che ci spii, vero?”) e pian piano afferma il suo potere con strumenti di repressione (“Pugnale e spada erano temuti più delle armi vere da cui avevano preso il nome…”) e con una politica demagogica che vede nella plebe un possibile alleato e nell’aristocrazia dei senatori un nemico da irridere e screditare.
Il romanzo scorre accattivante, anche grazie alle descrizioni suggestive del lago di Nemi (“Lo Specchio di Diana e, oltre l’orlo del cratere che racchiudeva il lago… Anzio, la città in cui era nato”) e al sottofondo erotico che si delinea in parallelo alle acrobazie politiche e ai delitti realizzati per tutelare la sovranità di un tiranno sempre più orientato verso i modelli di monarchia divina all’orientale (“Farò costruire un ninfeo…”). Sulla base di una convinzione: “Insieme al denaro e alla lusinga del potere, il piacere sessuale era lo strumento più semplice per ottenere ciò che si voleva e Gaio aveva capito che saperne sfruttare i segreti e le tecniche più raffinate avrebbe potuto dargli modo di mettersi in vantaggio su molti.”
E sono cinquanta e forse più le sfumature dell’erotismo di Caligola: a partire dall’iniziazione in tenerissima età - aveva soltanto cinque anni! – quando il bambino partecipa agli incontri sessuali con due legionari, Flavio e Aurelio, ai quali procaccia giovani schiave da barattare con lezioni militari. Per poi attraversare quattro matrimoni, a caccia della donna che lo renderà finalmente padre. Passando attraverso tutte le declinazioni del sesso: attivo, passivo (“Alternando l’impeto dell’amore romano con la passività di quello greco”), ambiguo, esibizionista con la bella Ennia di fronte al marito Macrone, incestuoso, preferibilmente consumato con l’amata sorella Drusilla (“La sorella era la sola di cui gli importasse veramente qualcosa, oltre a se stesso”) e con il trans Micenio (“Ti presento Micenio, disse Agrippa indicando la schiava”).
Bruno Elpis
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