Dettagli Recensione
Vero, Verosimile, Qui.
Questo libro è stata una folgorazione. Per l’ambientazione, la scelta narrativa, lo stile, i personaggi.
Quasi 800 pagine che scorrono via veloci, con l’unica angoscia del crescente assottigliarsi dello “spettacolo” che rimane ancora da godere.
Va detto – senza togliere nulla alla bellezza di questo libro – che penso che parte di questa fascinazione così forte, dipenda dall’immediata eco che mi è suonata in testa con “Il ‘93” di Victor Hugo; ambientato nello stesso periodo e riguardante, in parte, i medesimi eventi (anche se nell’opera dei Wu Ming, la Vandea viene solo nominata, mentre in “ ’93” è quanto meno co-protagonista).
La lettura di “ ’93”, avvenuta (la prima volta) alla fine del liceo è stata talmente coinvolgente da tenere il libro – stabilmente – nella mia top ten e da indurmi usare tuttora espressioni espunte da esso (“accompagnamo Marat alla Convenzione!” per definire qualcosa di particolarmente noioso). Quindi un libro che promettesse di farmi rivivere quella magia partiva già avvantaggiato. Per tacere della fascinazione che – tout court – esercita la Rivoluzione Francese, specie in tempi come quelli odierni.
Quando però le aspettative sono alte, il rischio di tonfo sonoro lo è altrettanto.
Qui assolutamente non si corre tale rischio.
La narrazione – articolata come un’opera teatrale - segue le vicende di diversi protagonisti: una rivoluzionaria del foborgo sant’Antonio, un medico magnetista, un cospiratore monarchico, un attore italiano trapiantato a Parigi, un ciabattino/sceriffo rivoluzionario, un piccolo Gavroche e molti altri, figure che sfavillano per un momento in questo tumultuoso palco; sullo sfondo gli anni della Rivoluzione Francese.
Apriamo con l’esecuzione di Luigi XVI (il cittadino Capeto) e chiudiamo con la ghigliottina sull’ultima tricoteuse.
Parigi e i suoi ponti (e sotto-ponti), la Convenzione e i suoi banchi, l’ospedale di Bicetre e la sua Corte dei Miracoli, e un’Alvernia da vero film horror, i luoghi di queste storie.
Molto difficile narrare la vicenda (e non tenterò di farlo) perché è quella che si definisce una storia corale.
Chissà perché quando penso alle storie “corali” mi vengono in mente storie sommesse, sottovoce, da ciclo dei Vinti, in cui nessuno emerge, ma tutti vivono confusi in un magma omogeneo di comunità (in genere derelitta).
No, questo coro somiglia assai di più a questo qui:
https://www.youtube.com/watch?v=KkssNMI_niE
(Chi non lo conoscesse si metta le cuffie, alzi il volume al massimo – che Verdi non è roba da fighetti - e si goda questo. Chi lo conosce può fare lo stesso – come sto facendo io – che fa sempre bene).
Gli autori raccontano storie verosimili di cui la Storia (con la maiuscola) non si è occupata, inseriscono i loro personaggi in “buchi” della trama che così vengono riempiti. Nell’ultima parte mostrano come – in effetti – alcune delle storie narrate potrebbero anche essere “vere”. Ma non è la filologia quello che conta. E neppure la Verità.
Questa sarta rivoluzionaria che lotta, per sé e per la libertà, in bilico fra tenerezza e brutalità è vera.
Quest’uomo probo che sente il male e cerca il bene è vero.
Questo eroe cazzone, cencioso e spiantato è vero.
Questo agghiacciante principe della banalità del male è vero.
Questo popolo francese che parla emiliano è vero, verosimile, qui.
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