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Amara ironia
Emilio Lussu, l’autore del giustamente famoso Un anno sull’Altpiano, uno dei più bei libri sulla prima guerra mondiale, scrisse nel 1931, da esule e dopo la fuga e l’evasione dal confino nell’isola di Lipari, Marcia su Roma e dintorni. Quest’opera non vuole, né intende essere uno dei tanti saggi storici sulla rivoluzione fascista, ma, rivolta soprattutto a stati esteri come Francia, Inghilterra e Stati Uniti al fine di metterli in guardia da un incombente tentativo di sopprimere ogni forma democratica, è il frutto dell’esperienza personale di Lussu, autentico uomo dal libero pensiero, maturata negli anni immediatamente antecedenti, durante e in quelli seguenti la marcia su Roma.
La visione quindi è soggettiva e riguarda soprattutto quanto accadde in quel periodo in Sardegna, la sua terra, ma che comunque è facilmente estensibile all’intero panorama nazionale, e questo anche grazie al fatto che l’autore all’epoca era membro della Camera dei Deputati in rappresentanza del Partito Sardo d’Azione, da lui fondato insieme a Camillo Bellieni, una forza politica per sua natura repubblicana e federalista, volta a ottenere per i pastori e i contadini sardi la distribuzione delle terre e dei pascoli di proprietà dei grandi latifondisti.
In questo contesto, benché Lussu fosse stato un combattente di notevole valore durante la Grande Guerra, che lo aveva visto deciso interventista, non rientrò nel corposo gruppo degli ex combattenti che, per diversi motivi, si accostarono a Benito Mussolini, anzi lui osteggiò da subito e apertamente un movimento come quello fascista, basato su valori sterili e falsi e caratterizzato dalla continua violenza di cui peraltro fu più volte vittima. Comunque, se l’avversione per la nascente dittatura fu una caratteristica costante, il futuro narratore sardo ha la straordinaria capacità di descrivere i fatti, accompagnandoli con un’amara ironia che ben riesce a dimostrare come fu possibile che un paese uscito dalla guerra come vincitore, anziché operare per la ricostruzione, venisse funestato da continue violenze e che soprattutto un “quaquarqaquà” come Benito Mussolini, forte con i deboli e pavido con i forti, potesse prendere il potere assoluto. Il quadro di un parlamento inconcludente, del presidente del Consiglio Facta, il cui continuo ottimismo stride con la gravità della situazione, un re fellone come Vittorio Emanuele III, l’ostinazione dell’opposizione a procedere solo nel rispetto della legge quando l’avversario – ma sarebbe meglio definirlo nemico – invece della costituzione e delle leggi fa carta straccia dimostrano che l’avvento del fascismo non fu un fatto casuale, bensì il risultato dei favori a Mussolini di chi deteneva le leve del potere, in primis gli agrari, senza dimenticare che non furono pochi anche gli industriali, timorosi tutti di perdere i loro privilegi e volti a continuare gli arricchimenti che inevitabilmente erano venuti durante il precedente conflitto. Tuttavia, l’analisi di Lussu va ben oltre e inquadra in un modo impietoso le caratteristiche dei politici italiani, riscontrabili purtroppo anche oggi. Pur di mantenere il loro posto dorato la maggior parte, che si opponeva con veementi parole al fascismo, finì con l’indossare la camicia nera.
Fu così che l’Italia diventò fascista, una dittatura che era iniziata con una marcia su Roma da operetta e, che poi soffocò in tutti i modi anche la minima opposizione, e che infine portò la nazione alla tragedia della seconda guerra mondiale; per non smentire il suo carattere, come noto Mussolini fu catturato mentre fuggiva travestito da soldato tedesco e finì appeso, con altri gerarchi, a Piazzale Loreto. Di tutto ciò che sarebbe accaduto Lussu nel 1931 non poteva sapere niente e anzi lui si trovava nella spiacevole posizione dell’oppositore fuggiasco; eppure, senza livore, anzi direi con serenità scrisse il libro, la cui lettura, a mio parere, più che raccomandata, è doverosa, soprattutto in un paese come il nostro che ogni tanto si lascia incantare dall’uomo di turno della provvidenza
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