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Corri cavallo
Un giovane nobile torna a Venezia dopo un periodo di esilio a Corfù per le sue bravate (bellissimo il rientro nella laguna gelata) e scopre che il padre si è giocato alle carte tutta la sua fortuna, compresa la parte che gli sarebbe spettata in eredità, con una misteriosa contessa. Il giovane affronta padre e contessa, e questa gli propone di giocare quanto perso dal padre in una ultima partita mettendo se stesso come posta del gioco. Il giovane accetta di giocare, perde ma rifiuta di offrirsi (come amante e schiavo) alla contessa, donna orrenda e affascinante, mostro con un occhio solo e denti da squalo, forse una figura simbolica (la morte).
Da lì inizia un inseguimento che non avrà più fine, inizia la vera partita tra il giovane e la contessa che mette al suo inseguimento due terribili sicari. In ogni momento e circostanza il giovane deve immaginare le mosse dell'avversario, entrare nella sua mente che segue una logica, dunque è prevedibile e mai più potrà lasciare la sua compagna di viaggio, la paura.
Unica consolazione è per lui lasciare la sua storia a un gruppo di commedianti che la rappresentano aggiungendo a loro piacere un finale. (Ma c'è un certo conforto nel sapersi al calore di una memoria che dura più di ogni altra memoria.)
Ma io ho imparato che la paura è lo strumento di conoscenza più potente che esista. Più dell'immaginazione la paura sprigiona segnali luminosi anche nel buio, mette di fronte il mistero che c'è nella vita di ognuno; è forse un animale feroce ma intelligente cui si deve rispetto.
Certo, anche io a volte mi domando se non sia rimasto prigioniero del mosaico di situazioni immaginarie che sono andato via via costruendo, se in realtà la contessa non mi abbia dimenticato da tempo, e se questa partita da tempo non la stia giocando da solo. Ma è difficile credere che i segni che io vedo sui fondali della mia vita non annuncino una qualche imminenza che mi riguarda: non c'è nulla di così presente come qualcosa che deve accadere e non è accaduto.
Il romanzo è piacevole, curioso , fa pensare alla metafora dell'uomo che fugge la morte e ricorda molto la canzone di Vecchioni con la morte che aspetta il soldato all'arrivo, anche se Ongaro ha preferito lasciare il lettore nell'incertezza, facendo scampare il suo eroe anche a quell'incontro a "Samarcanda" cioè a casa della sorella. In fondo tra la morte e la sua vittima si crea un feeling, c'è una partita dal finale scontato e che ha il solo scopo di guadagnare tempo .
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